Perché la bassa spesa militare in Europa frena la crescita economica

Crescita economica in Europa frenata dalla bassa spesa militare. Ecco i dati che svelano il crescente divario con gli Stati Uniti.
11 mesi fa
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Bassa spesa militare frena la crescita economica
Bassa spesa militare frena la crescita economica © Licenza Creative Commons

Sapete perché Donald Trump fa così tanta paura ai governi europei? Lasciate perdere le baggianate filosofiche sul concetto di democrazia, sul presunto rischio di autoritarismo, ecc. Questi discorsi sono la foglia di fico per celare il vero timore di Bruxelles: essere costretta a guardare in faccia la realtà. Di cosa stiamo parlando? Il tycoon lo dice apertamente da anni: se l’Unione Europea non aumenta la spesa militare al 2% del PIL, obiettivo fissato per tutti i membri della Nato, dovrà arrangiarsi nel caso in cui dovesse accusare un qualche rischio per la sua sicurezza territoriale.

In altre parole, se qualcuno ci attacca, saranno affari nostri. Gli Stati Uniti non interverranno.

Se noi europei fossimo scaltri, approfitteremmo di questa svolta nell’opinione pubblica americana – sì, The Donald la rappresenta per una grossa parte – per avviare un’azione complessiva di allentamento dalla dipendenza da Washington. Non nel senso che dobbiamo recidere le relazioni geopolitiche ed economico-finanziarie con gli Stati Uniti. Tutt’altro. Dovremmo intensificarle, anzi, ma su un piano di maggiore equilibrio tra le parti.

Bassa crescita economica figlia dell’irrilevanza geopolitica

Ma può esservi mai equilibrio quando i numeri ci dicono che senza zio Sam non saremmo in grado neppure di difenderci dalle zanzare? Nel 2022, l’Unione Europea ha destinato alla spesa militare circa 240 miliardi di euro, l’1,6% del PIL. L’anno scorso, gli Stati Uniti hanno impiegato per lo stesso capitolo di bilancio 800 miliardi di dollari, il 3,1% del loro PIL. In pratica, i nostri alleati americani spendono il doppio di noi rispetto alla loro ricchezza annuale prodotta. In valore assoluto, agli attuali tassi di cambio, spendono il triplo per la difesa. E rapportato al numero degli abitanti, il loro budget quadruplica: 2.400 dollari pro-capite contro i nostri 535 euro.

Negli anni Ottanta, le distanze tra Stati Uniti e quella che attualmente definiamo Eurozona erano quasi nulle sul piano dei redditi.

Oggi, il PIL pro-capite risulta sostanzialmente doppio dall’altra parte dell’Atlantico. E per quanto possiate pensare che non c’entri, la spesa militare ha a che fare con questo gap crescente? E non per il fatto, pur vero, che essa finisce spesso per finanziare la ricerca, a sua volta indispensabile per la crescita economica. Il punto è un altro: un’area senza autonomia militare non è credibile e né può dirsi realmente capace di tutelare i propri interessi strategici e breve, medio e lungo termine.

Stati Uniti in vantaggio sull’Unione Europea

Proprio gli eventi in corso ce lo dimostrano in maniera lampante. Da giorni Stati Uniti e Regno Unito attaccano i ribelli Houthi nello Yemen, al fine di consentire alle navi mercantili di transitare per il Mar Rosso. Queste azioni belliche appaiono indispensabili per impedire il blocco dei commerci marittimi. E l’Europa? Discute ancora se sia il caso di mandare alcune navi per partecipare alla reazione anglo-americana. E dire che il blocco del Mar Rosso colpirebbe proprio noi europei più di tutti, impedendoci sia di esportare che di importare merci dall’Asia.

Secondo voi, un’economia che per risolvere i suoi guai è costretta a subappaltare le soluzioni dure agli alleati può mai considerarsi del tutto autonoma dagli interessi legittimi di questi ultimi? In altre parole, pensate che saremmo in grado di far prevalere il nostro interesse in Medio Oriente, quando sono gli Stati Uniti che investono sulla loro e nostra sicurezza e mandano i loro uomini finanche a combattere e rischiare la vita? Ecco dimostrata la nostra marginalità geopolitica riguardo tutti i processi decisionali globali.

Che si tratti di Cina, Medio Oriente o Africa, l’Unione Europea non ha voce in capitolo, sebbene gli eventi in queste aree colpiscano perlopiù direttamente noi e non gli americani.

E ciò accade perché la nostra spesa militare è scarna, incapace di finanziare una struttura bellica credibile e funzionale alla nostra difesa. Tutto ciò finisce per ritorcersi contro i nostri interessi economici. Se intervengono gli Stati Uniti a risolvere un conflitto, quando ci sarà da stringere accordi economici avranno la priorità e a noi europei resteranno le briciole. I comunicati, le dichiarazioni e gli appelli non servono a nulla. Non sono mai serviti a nulla, se non a sprecare inchiostro.

Spesa militare non è nemica dello stato sociale

La nostra bassa crescita economica è figlia dell’altrettanto bassa spesa militare. Non esiste un’economia ricca senza un esercito capace di difenderla dalle insidie straniere. L’occupazione russa dell’Ucraina ha parzialmente aperto gli occhi ai governi del Vecchio Continente, con la Germania a pianificare un riarmo da 100 miliardi di euro. Ma le opinioni pubbliche non hanno ben compreso cosa vi sia in gioco. Pensano erroneamente che la maggiore spesa militare preluda a tagli allo stato sociale. E’ vero l’inverso: essa porterebbe benefici geopolitici di lungo termine, a vantaggio della crescita e, quindi, dei servizi pubblici.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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