Avrete sorriso nell’apprendere che in diversi paesi del mondo, quando scattò l’allarme pandemia, i consumatori presero d’assalto gli scaffali dei supermercati per portarsi a casa quanti più rotoli di carta igienica possibile. Il fenomeno fu molto visibile negli USA, dove il problema continua a restare percettibile, malgrado le rassicurazioni delle autorità sulla sufficienza delle scorte. E anche nel resto d’Europa le cose sono andate pressappoco così, tant’è che il premier olandese Mark Rutte ha dovuto tranquillizzare una signora al supermercato, che gli chiedeva se il paese corresse il pericolo di restare senza rotoli.
In Italia, il problema non si è avvertito. A inizio pandemia, ancor prima del “lockdown” nazionale, l’assalto da noi riguardò i generi alimentari, tra cui pasta e farina. Non poteva esserci panico più tricolore di questo. Eppure, in un certo senso i consumatori hanno percepito i possibili rischi. L’Italia produceva nel 2018 qualcosa come 626 milioni di kg di carta igienica, a fronte di consumi domestici per poco più di 380 milioni. In valore, l’ISTAT ci dice che corriamo verso la cifra di 1 miliardo di euro.
Dunque, produciamo quasi il 65% in più di quanto consumiamo, non c’è alcuna ragione per andare nel panico, perché nel caso di chiusura delle frontiere anche commerciali, com’è parzialmente avvenuto con il Coronavirus, le nostre aziende avrebbero scorte di magazzino tali da soddisfare i consumi nazionali per più di un anno e mezzo. E anche nel caso di corsa agli acquisti, lo svuotamento degli scaffali sarebbe da noi solo temporaneo, il tempo di produrre nuovi rotoli e di farli arrivare al supermercato.
La globalizzazione è la tempesta perfetta che pone fine alla globalizzazione?
La filiera della carta igienica
Gli italiani consumano mediamente 6,3 kg di carta igienica all’anno, pari a 70 rotoli. Nel confronto internazionale, risultiamo tra i più virtuosi. Pensate che ogni americano consuma la media di 140 rotoli e ogni tedesco 134.
La produzione di carta igienica è influenzata chiaramente dalla disponibilità delle materie prime, essenzialmente gli alberi da cui ricavare la cellulosa. E i tedeschi ne dispongono in grandi quantità, così come noi italiani. Altrove, non è sempre così e anche per il diverso orientamento delle produzioni locali si è costretti ad importarla. Senonché, la chiusura delle frontiere da marzo ha messo in allarme milioni di consumatori tra i paesi importatori. Il trasporto di carta igienica richiede numerosi carichi, comunque esso avvenga (camion, aereo, treno, etc.), in quanto si tratta di un prodotto voluminoso, allorquando di peso leggero. E con la mobilità ridotta dei mesi scorsi, il rischio che dall’estero arrivassero pochi rotoli per l’igiene personale è stato percepito piuttosto elevato.
In generale, poi, la carta igienica è associata mentalmente al gruppo dei beni primari per la stretta sopravvivenza, accanto ai viveri, alle medicine e agli altri prodotti per l’igiene. Nel 2013, il primo segnale della devastante crisi che avrebbe travolto il Venezuela fu la carenza di carta igienica sugli scaffali, con il presidente Nicolas Maduro a tranquillizzare la popolazione con fare grottesco. Di lì a poco, sparirono dagli scaffali un po’ tutti i beni. In definitiva, il fenomeno ha messo in evidenza quanto importante sia tenere integra la filiera produttiva, evitando interruzioni, affinché la globalizzazione non faccia il paio con carenze qua e là di prodotti. Un rischio di gran lunga sottostimato, come dimostrano le conseguenze drammatiche degli interventi dei governi per trattenere dentro i confini nazionali le produzioni sensibili, di fatto negandole ai mercati di sbocco.
E in Iran scoppia la crisi dei pannolini, triste ricordo della carta igienica in Venezuela