Perché la crisi econonomica provocata dal Coronavirus somiglia sempre più a una “L”

La recessione dell'economia in corso in Italia, e non solo, sarà più dura del previsto e, soprattutto, rischia di avere lunghi strascichi. Siamo entrati in una crisi a "L"?
5 anni fa
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Quando l’emergenza Coronavirus aveva iniziato a colpire l’economia italiana, ci siamo interrogati su quale tipo di crisi avremmo accusato. A distanza di alcune settimane, sembra chiaro che possiamo scartare uno scenario, quello che avevamo contraddistinto con la lettera “U”, caratterizzato da una caduta del pil non drammatica e seguita da una ripresa graduale. Adesso, sono rimaste due alternative: la forma a “V” e quella a “L”. Nel primo caso, saremmo dinnanzi a una caduta verticale dell’economia, seguita da un rimbalzo altrettanto sostenuto e veloce.

Nel secondo, invece, il crollo verticale è seguito da una fase di stabilizzazione al ribasso degli indici macro.

La crisi dell’economia italiana sarà pesantissima, ricordatevi queste tre lettere: U, V e L

Purtroppo, le probabilità che sia quest’ultimo scenario ad avere la meglio stanno aumentando sensibilmente. In Italia, il pil è diminuito del 4,7% nel primo trimestre rispetto ai tre mesi precedenti e del 4,8% su base annua. Vi ha pesato il “lockdown” imposto dal governo a marzo, il quale ha inciso sull’intero periodo per appena un quarto. Nel secondo trimestre, la quarantena si farà sentire di più, malgrado le misure restrittive su fabbriche, negozi e uffici siano state già allentate e lo saranno ancora di più entro i prossimi giorni.

Caduta pesante e ripresa lenta

Tuttavia, la caduta dei redditi e del fatturato nel frattempo accusata da famiglie e imprese e il mancato ritorno alla normalità, in particolare per un settore trainante della nostra economia come quello del turismo, avranno i loro duri effetti. Nel frattempo, la produzione industriale in Italia è crollata di oltre il 28% a marzo, scendendo a poco più della metà dei livelli del 2007, l’anno precedente alla (ormai) penultima crisi globale. In effetti, l’Italia partiva con un bilancio molto negativo prima del Coronavirus, cioè con una produzione a -22% e un pil reale del -4%.

Al termine di quest’anno, se avranno avuto ragione le principali stime sulla nostra economia, questa risulterà scesa ad almeno il 13% in meno dei livelli del 2007. I nostri competitor europei, nel peggiore dei casi, si saranno riportati ai livelli di allora.

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I margini fiscali disponibili per sostenere i redditi sono limitatissimi e sempre che non venga meno la benevolenza dei mercati finanziari, ad oggi rassicurati dalla BCE, di fatto unico reale acquirente netto di BTp. Non essendo possibili poderose manovra di bilancio di sostegno all’economia, l’Italia dovrà continuare ad affidarsi alle esportazioni, cioè ai mercati esteri, i quali a loro volta verranno sì sostenuti dagli stimoli fiscali varati dai rispettivi governi, ma hanno dinnanzi a loro uno scenario tutt’altro che rassicurante, specie dopo l’estate, quando un po’ tutti tra comunità scientifica, politici e imprenditori stanno prendendo consapevolezza che si rischia una seconda ondata di contagi con l’abbassarsi delle temperature, ergo nuovi “lockdown”.

Il rimbalzo a metà

L’incertezza spingerà consumatori e imprenditori a non programmare alcunché. Chi se la sentirà di investire in un’attività nuova o in quella già aperta, se non si ha idea di cosa potrà accadere tra alcuni mesi e, soprattutto, a quali condizioni sottostaranno? La necessaria convivenza con il Coronavirus da qui ai prossimi mesi, forse qualche anno, sta già rivoluzionando il modo di fare business e di vivere la quotidianità, con la regola delle distanze sociali a zavorrare il fatturato di bar, ristoranti, lidi, società attive nell’intrattenimento, negozi aperti al pubblico, etc. Insomma, costi che rimangono uguali o che forse persino aumentano per ottemperare alle nuove regole, a fronte di ricavi in caduta libera.

Nel terzo trimestre, salvo incidenti, il pil italiano e nel resto dell’Occidente rimbalzerà.

Ma non verranno coperte le perdite del primo semestre, anzi il rischio è che già nel quarto trimestre si assista, se non a un ritorno nella recessione, quanto meno a una stagnazione. Ad oggi, le stime della Commissione europea parlano di un crollo del pil del 7,5% nell’Eurozona per quest’anno, seguito da un rimbalzo del 6,3% nel 2021. A conti fatti, le perdite nell’area verrebbero interamente recuperate solo a fine 2022, sempre che tra due anni vi sarà stata una crescita di almeno il 2%.

Se restringiamo lo sguardo all’Italia, le cose si mettono molto peggio. La storia recente ci insegna che il nostro Paese sia il primo ad entrare in recessione e l’ultimo ad uscirne e, soprattutto, che non siamo capaci di superare in breve tempo gli effetti della crisi, se è vero che a fine 2019 eravamo ancora ai livelli di pil di metà anni Duemila. Dunque, lo spettro di una crisi a “L” si fa sempre più nitido. Questo avrebbe implicazioni pesanti per tutti noi, in quanto comporterebbe una perdita di gettito fiscale “strutturale”, di conseguenza un aumento del deficit e del debito pubblico, che andrebbero coperti o tramite aumenti delle già altissime tasse o tramite tagli alla spesa pubblica, ma capite benissimo che anche questa seconda manovra in un’economia depressa sarebbe politicamente poco sostenibile. Ci aspettano tempi duri. E non saranno brevi.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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