Doppia moneta come pagherò?
E il debito pubblico? Rimarrebbe in euro, ovvio. Anzitutto, perché la quasi totalità di esso è stata emessa con la clausola che impedisce la ridenominazione in un’altra valuta, ma anche perché se avvenisse una conversione, come proposta in Francia da Marine Le Pen, il mercato bombarderebbe i nostri titoli di stato e i rendimenti esploderebbero, impattando negativamente sui nostri conti pubblici.
Ma allora, questa doppia moneta a che servirebbe? Non siamo nella testa di Berlusconi, ma possiamo ipotizzare che egli avrebbe in mente l’introduzione di una sorta di pagherò, anche noti come IOU (“I Owe You”), che all’apice della crisi del debito in Grecia nel 2015 furono proposti dall’allora ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, per aggirare la crisi di liquidità che stava attraversando il suo paese.
Come funzionerebbe la doppia moneta, intesa come pagherò
Questi certificati, in buona sostanza, sarebbero emessi dal Tesoro (pratica anch’essa vietata dai Trattati UE) e ceduti come forma di pagamento a imprese e famiglie, recherebbero una scadenza, alla quale verrebbero rimborsati dalla Banca d’Italia al 100% del loro valore nominale. Esempio: lo stato italiano emetterebbe certificati IOU dal valore complessivo di un miliardo di euro in favore delle imprese, verso le quali ha debiti per lo stesso importo. Queste potrebbero attendere la scadenza o scontarli subito in banca per incassare la somma erogata.
A questo punto, le banche tratterrebbero buona parte del valore nominale dei certificati, scontando il rischio di un default dello stato, oltre che per applicare gli interessi sul lasso di tempo intercorrente tra la data di anticipo della somma e quella della scadenza dei titoli. Le imprese incasserebbero di meno, ma subito.