La BCE ha confermato ieri che gli acquisti di obbligazioni con il PEPP (Pandemic emergency purchase programme) finiranno a marzo. Da aprile, raddoppieranno quelli condotti con il “quantitative easing” (QE) a 40 miliardi al mese durante il secondo trimestre. Scenderanno a 30 miliardi nel terzo e torneranno a 20 miliardi nel quarto. Una notizia destinata a impattare nel tempo sui rendimenti italiani, già in risalita negli ultimi mesi proprio in previsione di questo passo di Francoforte.
Cerchiamo di capire nel dettaglio cosa sta accadendo.
Rendimenti italiani ancora bassi
Se la BCE acquista un bond, il suo prezzo sale e il suo rendimento scende. La maggiore domanda ne fa salire le quotazioni e sappiamo che il rendimento è negativamente correlato al prezzo di un’obbligazione. E’ accaduto che durante questa pandemia lo stato italiano, così come gli altri in Europa, abbiano chiesto al mercato molti più capitali per finanziare le spese anti-Covid e sopperire al crollo del gettito fiscale. In teoria, questo avrebbe dovuto far crollare i prezzi ed esplodere i rendimenti. Si è verificato il contrario: prezzi su e rendimenti italiani giù.
Infatti, tra la fine del 2019 e la fine di quest’anno, il debito pubblico italiano sarà salito di 300 miliardi di euro.
Il governo Draghi stima in 105 miliardi di euro il deficit per il 2022, pari al 5,6% del PIL. Tra PEPP residuo e QE potenziato, la BCE ne dovrebbe acquistare circa la metà. Questo significa che una cinquantina di miliardi dovranno esserci finanziati dal mercato. E chiaramente, ciò avverrà a costi più alti di quelli infimi fin qui sostenuti dal Tesoro. A maggior ragione che l’inflazione anche in Italia stia salendo verso il 4% e chissà se raggiungerà il 5% o più. Ad oggi, il BTp a 10 anni offre meno dell’1%, quello a 50 anni il 2,20%. Troppo poco per titoli con rating così bassi.