Il countdown per l’addio a Quota 100 è agli sgoccioli: il 31 dicembre 2021 la misura triennale non sarà rinnovata. Si teme lo scalone dei 5 anni con il ritorno alla Legge Fornero in mancanza di misure alternative di fuoriuscita anticipata dal lavoro. Quanti sanno che questa opzione di flessibilità sperimentale esclude i lavoratori che hanno più necessità di agevolazione? Di fatto, la Quota 100 penalizza donne e precari e favorisce i lavoratori con stipendi più alti e con una carriera lavorativa continua.
A dimostrarlo sono i dati diffusi dall’Inps riguardo alle adesioni registrate in 3 anni.
Chi ha beneficiato davvero di questa flessibilità quantomeno simbolica?
Quota 100 penalizza donne e precari: chi beneficia davvero di questa opzione?
Secondo i dati diffusi dall’Inps, ecco chi ha beneficiato di Quota 100:
– dipendenti del settore pubblico (36%);
– dipendenti del settore privato (32%);
– artigiani e commercianti (15%).
Per il resto, si tratta di lavoratori dello spettacolo, del settore agricolo o di altri comparti, con una netta penalizzazione per il settore autonomo. Con Quota 100 al massimo si può maturare un reddito occasionale fino a 5mila euro lordi annui, altrimenti l’Inps deve sospendere il pagamento della pensione.
Si stima una pensione mensile media erogata di 2.200 euro (ovvero la pensione lorda dei dipendenti pubblici e privati in Quota 100). Coloro che rientrano nei requisiti di legge ma hanno redditi più bassi sono costretti a continuare a lavorare per non ricevere una pensione troppo bassa.
Quota 100 è un sussidio netto ai ceti benestanti
Quota 100, in poche parole, rappresenta un sussidio netto ai ceti benestanti. Si è rivelato un trasferimento netto di risorse da coloro che non possono o non vogliono attivare questa misura a coloro che, invece, lo fanno.
I ceti benestanti hanno aderito oltre la media degli aventi diritto a Quota, ne hanno beneficiato di più gli elettori prevalentemente del Pd (redditi alti, pubblico impiego) grazie ai contributi versati di autonomi e lavoratori agricoli (elettori perlopiù della Lega). In fondo, può permettersi di andare in pensione prima chi ha un reddito alto, mentre gli altri che hanno un reddito inferiore pagano i primi tramite i contributi e le tasse che versano.
Le proposte dei sindacati impossibili per le casse dello Stato
Per i motivi suddetti, i sindacati hanno proposto di superare Quota 100 con l’accesso alla pensione anticipata con 62 anni di età e 20 anni di contributi oppure con Quota 41 anni di contributi per tutti, a prescindere dall’età anagrafica. Proposte difficili da accettare per le casse dello Stato, misure che costano troppo.
Il nostro sistema previdenziale funziona così: i contributi versati servono a pagare gli assegni in essere, non vengono di certo accumulati nel conto di ogni lavoratore.
Con questo sistema, è impossibile garantire un’ampia flessibilità nonostante la prevalenza del calcolo contributivo.