In un’intervista a Bloomberg TV, il governatore della BCE, Christine Lagarde, ieri ha dichiarato quanto segue:
Essi (i mercati) potranno metterci alla prova quanto vogliono. Stiamo affrontando circostanze eccezionali e abbiamo a disposizione strumenti eccezionali da usare.
Il giorno prima, i rendimenti nell’Eurozona erano lievitati a seguito di un “sell-off” generalizzato, attestandosi ai massimi da due settimane in Germania e Italia. La reazione dell’istituto è arrivata anche per bocca di Olli Rehn, governatore finlandese e membro del board, il quale ha smentito che l’unione monetaria stia avviandosi verso “l’iperinflazione”, sostenendo che non vi sarebbero evidenze di tutto questo.
In realtà, le parole di Lagarde arrivano a poche ore di distanza anche dalla pubblicazione dei dati sull’inflazione nell’Eurozona, salita a marzo all’1,3% dallo 0,9% di febbraio. In Germania, è già all’1,7% dall’1,3% del mese precedente. Tuttavia, al netto delle componenti volatili, cioè degli alimentari freschi e dei prodotti energetici, l’inflazione nell’area risulta scesa all’1%. Dunque, il rialzo dei prezzi al consumo è stato trainato essenzialmente dal petrolio, che effettivamente è passato dai poco più di 50 dollari al barile di inizio anno a un massimo di 70 dollari a metà marzo.
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Dietro all’impennata dei rendimenti sovrani, dunque, si cela la reflazione scontata dal mercato, nonché il timore che la BCE possa trovarsi costretta prima del previsto a tagliare gli stimoli monetari, in primis il PEPP da 1.850 miliardi di euro e in programma fino al 31 marzo 2022. Anche a tale proposito, Lagarde ha avuto parole nette quando ha spiegato che gli acquisti di assets potranno essere anche prorogati ed estesi all’occorrenza, così come che la BCE avvertirà per tempo e con annunci ripetuti l’uscita dall’estremo accomodamento monetario, in modo da evitare incertezza e quello che in gergo sui mercati è noto come “taper tantrum”.
La Germania, in questa fase, sta ponendo più di un rischio di frammentazione sui mercati finanziari dell’Eurozona. Anzitutto, ha bloccato la ratifica del Recovery Fund dopo la sospensione decisa dalla Corte Costituzionale in relazione a un ricorso presentato contro i rischi potenziali a carico dei contribuenti tedeschi. Gli investitori potrebbero aver colto la scarsa volontà di Berlino di reagire con stimoli fiscali comuni alla crisi economica e sanitaria, indipendentemente dalle dichiarazioni ufficiali dell’ultimo anno. Secondariamente, i tedeschi con l’inflazione non ci giocano. E poiché i loro prezzi stanno crescendo a una velocità più alta che nel resto dell’area, la pressione affinché la BCE riduca gli stimoli si sta facendo sempre più forte e lo sarà verosimilmente in misura ulteriore nei prossimi mesi, anche in coincidenza con la campagna elettorale.
La BCE ha ritenuto di intervenire con dichiarazioni informali per spegnere il possibile incendio che altrimenti rischierebbe di appiccarsi da solo sui mercati. Lo spread BTp-Bund è sceso ieri in area 95 punti base sulla scadenza decennale, segno che probabilmente Francoforte starebbe ponendo un tetto sia alla crescita dei rendimenti “benchmark” tedeschi, sia ai differenziali di tutti gli altri bond, di fatto controllando la curva delle scadenze. La presenza di Mario Draghi a Palazzo Chigi è una garanzia di solidità nella politica economica italiana, un assist che Lagarde sfrutterà al massimo per impedire ragionamenti prematuri sul cambio di policy dell’istituto.
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