Perché le culle vuote in Italia sono la più grande emergenza nazionale

La denatalità in Italia ha assunto i caratteri dell'emergenza, con riflessi devastanti sull'economia e le prospettive future di crescita.
5 anni fa
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L’Italia rischia di svuotarsi entro pochi decenni. Nel 2019, le nascite sono state solamente 435 mila, a fronte di 647 mila decessi e per un saldo negativo di 212 mila unità. Ormai, nemmeno l’apporto dei flussi migratori sta riuscendo a sopperire alla bassa denatalità italiana, che sta assumendo tratti preoccupanti. E’ dal 2007 che, al netto degli apporti degli immigrati, il saldo naturale nel nostro Paese risulta negativo. Nel decennio 2010-2019, la popolazione residente è diminuita di 1,28 milioni di abitanti, al netto sempre della componente migratoria.

E la tendenza si mostra in accelerazione.

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Male, malissimo per l’impatto che questo invecchiamento demografico sta già avendo sull’economia italiana. Si consideri che oggigiorno, ad esempio, abbiamo appena 1,45 lavoratori per ogni pensionato. Certo, il tasso di occupazione da noi è basso, a causa dei valori infimi assunti al sud, ma per quanto ci sforzassimo ad accrescerlo, nel tempo sarebbe destinato a non bastare più per fronteggiare il numero crescente dei pensionati.

E lo stesso ritmo con cui si creano i posti di lavoro è legato alle nascite, o meglio, alla demografia. Un mercato del lavoro affollato da occupati anziani si mostra carente di inventiva, sotto-investe, è poco dinamico e sempre meno produttivo. Man mano che la produttività si abbassa per il numero calante di ingressi di forze fresche, gli stipendi ristagnano e la competitività delle nostre imprese sui mercati internazionali diminuisce, con la conseguenza che sia la domanda interna, sia le esportazioni contribuiscono sempre meno alla crescita, cioè si produce stagnazione perenne. Un po’ quel che accade in Italia per svariate ragioni da inizio anni Novanta.

L’impatto macro e micro

Sul piano macro, l’invecchiamento demografico porta a consumi ridotti e all’aumento dei risparmi. Gli anziani sono tipicamente più prudenti nello spendere e quando la loro incidenza sulla popolazione sale, il dinamismo dei consumi si riduce.

Sul piano micro, invece, assisteremo a una trasformazione dirompente della composizione della domanda: meno pannolini e prodotti per bambini, più spese sanitarie, ortopediche, fisioterapiche, per assistenza domiciliare, etc. Da un lato, interessi settori rischiano il tracollo, dall’altro crescerà la pressione sulle casse statali, essendo molte delle voci di spesa per gli anziani (vedi la sanità) a carico del settore pubblico. E con un’economia stagnante, a quali entrate dovremmo attingere per fronteggiare i maggiori costi sociali?

Per non parlare del mercato immobiliare. Una popolazione in picchiata equivale a una domanda decrescente di case. E’ ciò che sta accadendo da oltre un decennio a questa parte, guarda caso da quando quel saldo naturale negativo è diventato un elemento strutturale della nostra demografia. I centri storici rischiano di essere abbandonati all’incuria per assenza di proprietari residenti, mentre il valore degli immobili potrebbero contrarsi incessantemente, specie nelle periferie. Molte abitazioni, poi, risulteranno grandi rispetto alle esigenze effettive degli acquirenti o eredi, aumentando l’insoddisfazione verso l’offerta.

Tornando al mercato del lavoro, la stessa disponibilità ad entrarvi o rimanervi potrebbe in futuro diminuire per la necessità di un numero crescente di figli ad occuparsi dei genitori in età avanzata. In molti casi, non ci si potrà spostare di molto rispetto alla residenza dei propri genitori, specie se si è figli unici, una condizione in cui si troveranno sempre più persone nell’arco dei prossimi decenni. In sostanza, se a un bolognese venisse offerto un lavoro a Milano, non è detto che si trovi nelle condizioni di accettarlo, se questo significasse dover abbandonare i genitori per lasciarli alle sole cure di un/a badante, ammesso che gli assegni previdenziali risulteranno sufficienti per potersene permettere uno o più di uno.

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Qualcuno ribatterà che la soluzione sarebbe aumentare il numero degli immigrati in ingresso nel territorio nazionale.

A parte che dovremmo pensare a cosa facciano, una volta messo piede in Italia. E con un’occupazione così bassa e prospettive di crescita così pessime, sarebbe utopico pensare che realmente centinaia di migliaia o milioni di persone dal resto del mondo vogliano/possano venire nel nostro Paese per lavorare. E dobbiamo anche sapere che le donne straniere tendono negli anni ai tassi di fertilità delle donne italiane. Un esempio? Nel 2008, le prime avevano mediamente 2,65 figli, le seconde 1,34, la metà. Nel 2018, stando all’ISTAT, le distanze si erano già dimezzate con tassi rispettivamente a 1,94 e 1,21.

Dunque, la soluzione va ricercata in un diverso approccio della politica al problema delle nascite, che è certamente dovuto a svariati fattori economici, ma anche di tipo culturale. Nell’Occidente, la famiglia e i figli sono percepiti da tempo un peso, un ostacolo per la carriera lavorativa e per la piena espressione della propria libertà personale. Non bastano solo incentivi alle nascite e la creazione di condizioni favorevoli per l’occupazione femminile, quanto un vero cambio di mentalità. Anziché stigmatizzare l’istituto della famiglia, caricandolo di significato ideologico da ogni parte, lo si dovrebbe sostenere idealmente e programmaticamente.

Avete presente quel debito pubblico di 2.410 miliardi di euro a fine 2019 e che al prossimo dicembre sembra destinato ad esplodere nei dintorni dei 2.600 miliardi? Più passano gli anni con le culle vuote e maggiore l’onere pro-capite che verrà addossato alla popolazione residente. E poiché il numero degli occupati tenderà per forza di cose a restringersi dai livelli già bassi di oggi, i pochi che lavoreranno saranno costretti a tirare la carretta per un numero spropositato di anziani, al contempo dovendo far fronte all’eredità negativa del passato. Chi potrà, emigrerà in cerca di migliori condizioni di vita, fino alla scomparsa dell’Italia come popolo. Rimarremo lo Stivale sulla carta geografica, di cui si racconterà che un tempo fosse abitato da una gente detta italica, divenuta marginale nello scacchiere geopolitico internazionale.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
Il suo motto è “Il lettore al centro grazie a una corretta informazione”; ogni suo articolo si pone la finalità di accrescerne le informazioni, affinché possa farsi un'idea dell'argomento trattato in piena autonomia.

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