Non si era mai vista nella storia recente un’attesa così spasmodica per l’elezione del presidente della Repubblica, figura autorevolissima e apicale nel nostro ordinamento costituzionale, ma nei fatti quasi esclusivamente cerimoniale. Tutti gli occhi sono puntati sulle votazioni della prossima settimana, quando si spera che il Parlamento insieme ai delegati regionali sarà in grado di esprimere il successore di Sergio Mattarella.
La rilevanza del presidente della Repubblica è diventata crescente dal 1992 in poi. Con il crollo della Prima Repubblica, i vecchi partiti sono stati rimpiazzati da nuove formazioni sempre più deboli e incoerenti, con il risultato che non si sono rivelate capaci di gestire alcuna crisi.
Partiti deboli hanno trasferito inconsciamente potere decisionale al Quirinale, dove il presidente della Repubblica si è dimostrato decisivo in più occasioni: nel 1995 quando Oscar Luigi Scalfaro impedì al Cavaliere di tornare ad elezioni anticipate; nel 2011 quando Giorgio Napolitano nei fatti caldeggiò l’ingresso di Monti a Palazzo Chigi, tra l’altro nominandolo senatore a vita solo qualche giorno prima; nel 2018 quando Sergio Mattarella impedì a Paolo Savona di diventare ministro dell’Economia e nel 2019 quando sempre Mattarella acconsentì a PD e Movimento 5 Stelle di accordarsi per evitare le elezioni anticipate. Se vogliamo, anche nel 2016 l’attuale presidente della Repubblica forse mutò il corso degli eventi negando al premier dimissionario Matteo Renzi le elezioni anticipate dopo la sconfitta al referendum costituzionale.
Presidente della Repubblica, l'”anomalia” di questa votazione
In questa occasione, però, c’è un elemento ulteriore che suggerisce quanto sarebbe importante disporre di un presidente della Repubblica vicino al proprio schieramento o partito. A differenza di ogni altra elezione avvenuta nella Seconda Repubblica, il centro-sinistra non ha la maggioranza in Parlamento, neppure relativa. Per la prima volta è il centro-destra a poter aspirare a nominarne un proprio candidato. Questo cambierebbe molte cose. Il potere mediatico e nell’establishment di cui gode ad oggi il PD, malgrado i magri risultati ottenuti di elezione in elezione, dipende perlopiù proprio dal fatto di essere il riferimento politico dell’inquilino al Quirinale.
Tra un anno si vota e secondo i sondaggi il centro-destra vincerebbe le elezioni politiche. Esso sarebbe a trazione melonian-salviniana, esponenti euro-critici. Nel frattempo, ci sono da gestire quasi 200 miliardi di euro dell’Europa, che ci saranno erogati entro il 2026 dietro l’attuazione di centinaia di micro-riforme. Il prossimo presidente della Repubblica avrà l’onere di garantire per questo ingente flusso di denaro. In sostanza, la politica sta per eleggere il fideiussore in grado di fare da prestanome in sua vece. Non sarà marginale che venga da destra, centro o sinistra. Dovrà essere una figura credibile, senz’altro. Al contempo, meglio che fosse anche rappresentativa di una qualche area politica, altrimenti rischia di non avere alcuna presa su partiti e governi che si succederanno sotto il suo mandato.
Nei prossimi anni si prospettano momenti difficili per l’Italia. Il costo del denaro salirà e indebitarsi sarà più oneroso per il Tesoro. Lo spread potrebbe risentirne e tornare ai livelli di guardia, cosa che in parte sta già accadendo. La politica vivrà momenti di forti frizioni per la campagna elettorale prima e la formazione del prossimo governo dopo.