Perché l’INPS rivuole indietro i soldi della pensione? Ecco i due motivi principali

Ecco perché l’INPS rivuole indietro i soldi della pensione e perché i motivi per cui arriva questa richiesta sono diversi.
2 mesi fa
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Sovente l’INPS effettua dei ricalcoli di pensione che fanno emergere dei debiti maturati inconsapevolmente da parte dei pensionati. Debiti maturati sulla pensione, cioè importi percepiti e non spettanti. Alla luce di questi ricalcoli, l’INPS arriva quindi a comunicare al pensionato interessato che ci sarebbero delle somme indebitamente percepite dallo stesso. E quindi ecco la richiesta di restituzione di queste somme. Ma perché l’INPS rivuole indietro i soldi della pensione? Ecco i due motivi principali che possono scatenare questa richiesta da parte dell’INPS.

Partendo dal presupposto che nel 90% dei casi il pensionato non potrà farci assolutamente nulla e dovrà provvedere alla restituzione. E vedremo anche come deve fare per alleggerire questo onere, magari spalmandolo quanto più possibile.

Perché l’INPS rivuole indietro i soldi della pensione? Ecco i due motivi principali

Partiamo dal concetto di base che se l’INPS determina che il pensionato ha percepito delle somme in più sulla pensione, probabilmente ha ragione l’Istituto. La prima causa che può determinare questa situazione è il fatto che esistono delle misure di pensionamento che pongono alcuni limiti alla possibilità di lavorare dopo la pensione per gli interessati. Le notizie di cronaca hanno portato alla luce spesso casi di pensionati puniti per non aver rispettato le regole previste dalla misura di pensionamento che percepiscono. Una punizione che produce queste richieste di restituzione ma anche la sospensione immediata della prestazione. Perché bisogna capire che se la pensione che si percepisce lo prevede, è severamente vietato arrotondare il rateo di trattamento con altri redditi derivanti da attività lavorative. Tanto subordinate che autonome.

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Dover restituire interamente o in parte la pensione è sicuramente una incresciosa situazione, ma non rara. Ed in cui si possono imbattere quanti, non seguendo le regole, tornano a lavorare dopo aver percepito una pensione.

Non sempre vige il divieto di lavorare dopo la pensione, anzi, quasi mai. Il problema è che oggi ci sono due misure che prevedono il divieto di cumulare redditi da lavoro con redditi da pensione. Solo piccole attività di lavoro autonomo occasionale possono essere svolte, ma saltuariamente e senza eccedere i 5.000 euro di reddito aggiuntivo per anno solare. Le misure in questione sono l’Ape sociale e la quota 103. Ma lo stesso vincolo vigeva per le vecchie quota 100 e quota 102. Quindi, chi è andato in pensione con una di queste 4 misure, avrebbe dovuto rispettare il divieto di tornare a lavorare. Nel caso di mancato rispetto del divieto, anche per assunzioni di pochi giorni e con poca retribuzione, sovente l’INPS chiede la restituzione di tutti i ratei di pensione percepiti nello stesso anno solare della produzione di quel minimo reddito. E per di più si riceve la sospensione della pensione percepita.

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Il secondo caso, diffuso probabilmente di più rispetto al precedente, è quello delle prestazioni nella pensione, che sono collegate a specifiche situazioni reddituali e familiari del pensionato. Ci sono in effetti somme aggiuntive sulla pensione come possono essere le maggiorazioni sociali, le integrazioni al trattamento minimo, la quattordicesima e gli assegni familiari che possono essere percepite, ma che sono assoggettate a conferme, verifiche e adempimenti annuali.

In pratica, sono somme aggiuntive che andrebbero confermate a cadenza annuale mediante l’utilizzo delle procedure prestabilite ed obbligatorie. Per esempio se una parte della pensione percepita è una maggiorazione sociale, questa deve essere confermata annualmente. Come? Producendo le dichiarazioni dei redditi all’Agenzia delle Entrate, in modo tale che l’INPS interrogando l’anagrafe tributaria e le varie banche dati di cui ha accesso, può verificare se i limiti di reddito utili alla maggiorazione, non sono stati superati da un anno all’altro.

E se il pensionato non è tenuto alla presentazione della dichiarazione dei redditi, ecco che è obbligatorio utilizzare il modello RED che ogni febbraio questi pensionati devono presentare all’INPS.

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Salvo casi di errori dell’INPS in sede di ricalcolo delle pensioni, o di sbagli dell’Istituto, in tutti gli altri casi le somme indebitamente percepite devono essere restituite. L’INPS nella comunicazione di indebito procede anche a stabilire come recupererà questi soldi. Al pensionato può essere imposto di versare tutto insieme l’indebito, con tanto di codice PagoPa da utilizzare per saldare il tutto. Oppure può essere che l’INPS nella sua comunicazione di indebito, segnali al pensionato che provvederà a recuperare le somme in un determinato numero di rate mensili sui ratei di pensione futura. L’interessato però può prendere contatto con l’INPS se ritiene che sopportare l’importo trattenuto ogni mese in base alle rate proposte dall’INPS non sia per lui sostenibile. In questo modo può farsi autorizzare a delle trattenute meno esose sulla pensione, andando a spalmare il debito in più mesi in base alle sue possibilità economiche.

Giacomo Mazzarella

In Investireoggi dal 2022 è una firma fissa nella sezione Fisco del giornale, con guide, approfondimenti e risposte ai quesiti dei lettori.
Operatore di Patronato e CAF, esperto di pensioni, lavoro e fisco.
Appassionato di scrittura unisce il lavoro nel suo studio professionale con le collaborazioni con diverse testate e siti.

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