Le cattive notizie che stanno arrivando da giorni da Bruxelles sul Recovery Fund non hanno sinora fermato il rally dei BTp. Ieri, il rendimento a 10 anni dell’Italia risultava sceso sotto lo 0,60%, ai minimi storici. E i rendimenti restano negativi fino alla scadenza dei 5 anni, mentre neppure più arrivano all’1,80% per il BTp 2067, il bond più longevo emesso ad oggi dal Tesoro. Eppure, Ungheria e Polonia hanno posto il veto sull’approvazione del bilancio comunitario da 1.075 miliardi di euro per i prossimi 7 anni e, automaticamente, anche sul Recovery Fund da 750 miliardi.
Il voto contrario dei due stati è dovuto alla clausola fatta apporre dai governi del Nord Europa, in base alla quale i fondi europei saranno erogati solo a quanti rispettino lo stato di diritto, laddove per esso s’intenderebbe una lettura estensiva, comprendendo politiche a favore della comunità Lgbt. Ad ogni modo, neppure il Consiglio europeo di questo giovedì, tenutosi in videoconferenza come ormai ogni mese da quando c’è l’emergenza Covid, è riuscito a sciogliere i nodi.
La presidenza di turno, che questo semestre è retta dalla Germania, tenterà certamente di portare a casa il risultato al più presto e forse anche sulla considerazione che in gioco vi sia troppo per andare perduto i mercati finanziari non stanno reagendo negativamente.
Recovery Fund bloccato non da Ungheria e Polonia, ma dai paesi “frugali”
L’impatto del Recovery Fund sui mercati
Il Recovery Fund ha favorito il restringimento degli spread, riducendo il rischio sovrano percepito e lanciando un segnale positivo sulla volontà dell’Unione Europea di affrontare questa crisi in maniera del tutto diversa da quella del 2008-’09, quando gli stati colpiti dalle vendite dei bond furono lasciati sostanzialmente soli a combattere la speculazione. Adesso, Bruxelles sta dimostrando di voler mettere in campo persino stimoli fiscali comuni per reagire alla caduta del PIL nel Vecchio Continente.
L’impasse dovrebbe provocare la fuga dei capitali dalla semi-periferia a favore dei titoli “core” come i Bund. Tuttavia, ad oggi gli investitori sono consapevoli che la minore risposta fiscale che dovesse emergere dallo stallo verrebbe compensata dal potenziamento degli stimoli monetari da parte della BCE. Ancora più che nei mesi precedenti, infatti, Francoforte resterebbe l’unica istituzione a dover gestire la crisi e al board di dicembre non potrà che prendere atto, anche in considerazione della seconda ondata di contagi, della necessità di aumentare gli acquisti di bond e forse anche di tagliare ulteriormente i tassi overnight.
Per questo i BTp continuano a salire, ignorando lo stallo a Bruxelles. Ma non illudiamoci che questa condizione possa andare avanti per molto. La BCE non potrà a sua volta ignorare l’evoluzione dei fondamentali macro. Già la notizia dei vaccini a disposizione verosimilmente dai prossimi mesi induce parte del board a spingere per una maggiore cautela sui nuovi stimoli. Vaccino significa ripresa e ripresa significa possibile reflazione, cioè minori acquisti di bond necessari, certamente non più attraverso il PEPP, che è stato studiato come programma di emergenza. In altre parole, se il ritorno graduale alla normalità post-Covid non fosse accompagnato dalla presenza di stimoli fiscali comuni, parte del rally sin qui avutosi in questi mesi verrebbe meno. I fondi del Recovery sono stati almeno in parte scontati dal mercato per valutare la crescita dell’Italia nei prossimi anni e, soprattutto, se questi venissero meno o fossero anche solo depotenziati dai veti incrociati dei governi, la narrazione di una risposta alla crisi del tutto diversa da quella di oltre un decennio fa non sarebbe più credibile. E l’Italia dovrebbe fare affidamento esclusivo alla BCE per evitare una nuova crisi dello spread.
L’Italia non sa spendere i fondi europei e rischia la fregatura sul Recovery Fund