Stamattina, il Treasury a 10 anni offre un rendimento dell’1,72%. Dall’inizio dell’anno, risulta quasi raddoppiato. Pensate che il BTp di pari durata si attesti allo 0,67%, pur essendo il più remunerativo nell’Eurozona assieme all’omologo greco. A questo punto, perché non dovremmo comprare titoli del debito americani, che oltre a offrirci di più, sono anche più sicuri? Sappiamo che a rendimenti maggiori corrisponde sempre un rischio maggiore. Nel caso specifico, il rischio non è certamente di credito (anzi), bensì relativo al cambio.
Il mercato si aspetta che accada proprio questo, cioè che il cambio euro-dollaro si apprezzi. Di quanto? Un modo per capirlo è monitorare lo spread Treasury-Bund alle varie scadenze. Sul tratto decennale, esso vale più di 200 punti base o 2%. Infatti, il Bund a 10 anni offre ancora il -0,30%. In teoria, questo significa che gli investitori troverebbero equivalente acquistare Treasury all’1,72%, anziché Bund al -0,30% e viceversa. Evidentemente, essi scontano che il cambio euro-dollaro da qui a 10 anni in media si rafforzi di circa il 2% all’anno.
Perché il rialzo dei rendimenti deprime le borse? Treasury a 10 anni all’1,70%
Il flop delle previsioni precedenti
Se questo fosse vero, il BTp oggi risulterebbe più conveniente del concorrente di Zio Sam. Affinché quest’ultimo diventasse appetibile, infatti, dovrebbe offrirci almeno il 2% in più. Ad oggi, la differenza è solamente di 105 punti base. Ma attenzione ad applicare questi ragionamenti in maniera del tutto fideistica. Dieci anni fa, il Treasury decennale offriva circa il 3,45%, il Bund della Germania il 3%. Stando a quanto scritto, allora ci si attendeva un indebolimento del dollaro contro la moneta unica intorno allo 0,4% all’anno, cioè del 4% cumulato. Invece, è accaduto l’esatto contrario, ovvero che il cambio euro-dollaro sia crollato da 1,44 a 1,18, guadagnando il 18%.
A maggior ragione, questo discorso varrebbe per il mercato corporate. I bond emessi dalle società americane in dollari e con rating BBB offrono mediamente il 2,5%, mentre quelli in euro delle società dell’Eurozona poco più di zero. In teoria, questo differenziale sarebbe capace di coprire dal rischio di cambio nel medio-lungo termine, figuriamoci nel caso in cui il dollaro si deprezzasse meno di quanto previsto o non si deprezzasse affatto o, addirittura, continuasse ad apprezzarsi. Seguendo la logica economica, l’euro dovrebbe rafforzarsi, ma quello che abbiamo imparato nel corso dell’ultimo decennio è che il rischio politico nell’area aleggia come una costante e punisce il cambio a vantaggio del dollaro.