L’oro è tornato a splendere e questa settimana è risalito nuovamente a quota 2.000 dollari l’oncia. Una buona notizia per chi aveva scommesso di recente sul metallo, ma che disorienta i più. Questo è un “safe asset” per antonomasia, sul quale gli investitori riversano i capitali particolarmente nei periodi di crisi. Serve, ad esempio, a proteggere il potere di acquisto nel medio-lungo termine, vale a dire a combattere gli effetti dell’inflazione.
La cosa curiosa è che, salvo un paio di capatine in coincidenza con i momenti di forte tensione geopolitica e/o finanziaria, l’oro durante questo biennio di alta inflazione non abbia brillato granché.
Effetto inflazione
L’inflazione sta scendendo, è vero. Questo comporta, però, che i rendimenti obbligazionari stiano anch’essi scendendo dai massimi toccati negli ultimi mesi. Il T-bond a 10 anni degli Stati Uniti è passato dall’offrire poco meno del 5% cinque settimane fa a meno del 4,50%. Di conseguenza, i titoli del debito americano stanno perdendo appeal e gli afflussi dei capitali esteri stanno riducendosi presso la prima economia mondiale. Ed ecco che il dollaro sta perdendo forza. Da inizio novembre, cede in media oltre il 3%. E guarda caso, l’oro è salito di oltre il 3% dai minimi di questo mese.
Poiché l’oro è quotato in dollari, quando il biglietto verde s’indebolisce è una buona notizia per gli investitori non americani. Significa che per loro costa meno e la domanda sale. Questo porta a un aumento delle quotazioni. D’altra parte, lo stesso calo dei rendimenti obbligazionari rende il metallo un’alternativa più appetibile in termini di investimento. Ecco perché l’oro sta rincarando sui mercati internazionali. Scende l’inflazione, scemano rendimenti e dollaro e per questo i capitali trovano più conveniente acquistarlo.
Oro a 2.000 dollari anche con le guerre
A ciò dobbiamo aggiungere le tensioni geopolitiche. Alla guerra tra Russia e Ucraina si aggiunge quella tra Israele e Hamas. Si respira una certa distensione nei rapporti tra Stati Uniti e Cina, ma i numerosi punti di discordia rimangono. Per fortuna ciò non sta impattando sulle quotazioni petrolifere, che dopo una breve e contenuta fiammata sono scivolate fin sotto gli 80 dollari per un barile di Brent. E questo aspetto sta contenendo la crescita dell’oro sopra 2.000 dollari.
Infine, le banche centrali. Stanno continuando a comprare oro a ritmi record. In Asia, la tendenza da anni è ormai di accumulare riserve auree per allentare la dipendenza dal dollaro. L’oro è considerato a tutti gli effetti un “nemico del dollaro”, trattandosi di una moneta sempre accetta e spendibile e mai soggetta a crisi di fiducia per il semplice motivo che nessuno ne può stampare a piacimento. Le previsioni a medio-lungo termine sono improntate a un certo ottimismo proprio per questo.