La cessione in tempi record del 17% di Fineco ha acceso i fari su Unicredit. La banca guidata da Jean-Pierre Mustier ha venduto in settimana con una procedura di “accelerated bookbuilding” metà della quota ancora posseduta nella controllata, incassando 981 milioni di euro e valorizzando così l’intero istituto sui 5,8 miliardi, meno dei 6,7 miliardi a cui capitalizzava in borsa prima dell’annuncio a sorpresa e dal quale ha perso oltre l’8%. Non solo. Unicredit ha comunicato che la quota residua del 18% sarà deconsolidata dal suo bilancio e che su di essa vige un “lock-up” di 120 giorni, durante i quali si è impegnata a non cedere le azioni.
La fusione tra Deutsche Bank e Commerzbank salta, Unicredit in pista?
Per quale ragione è stata realizzata questa operazione, che ha fruttato a Piazza Gae Aulenti una plusvalenza di mezzo miliardo? Se la risposta consistesse nella volontà di rafforzare i ratios patrimoniali, dovremmo chiederci a quale scopo. In previsione di potenziali perdite? E quali? Sta di fatto che il “Common equity tier 1” salirà di 21 punti base e grazie ad altre operazioni, come la valorizzazione degli immobili, tra cui la vecchia sede di Piazza Cordusio, dovrebbe portarsi intorno al 12,50% da poco più del 12% di fine 2018. In questo modo, la banca costituirebbe un cuscinetto o “buffer” di capitale di circa 250 bp rispetto ai presunti nuovi minimi regolamentari che la Vigilanza europea imporrà a fine anno.
Non vi è dubbio che il dossier più rilevante a cui Mustier starebbe lavorando riguardi Commerzbank. La banca tedesca avrebbe dovuto fondersi con la connazionale Deutsche Bank, ma il matrimonio è saltato sulla comune considerazione dei due Ceo che le sinergie positive sarebbero state più che coperte dai costi certi e presunti. E Unicredit aveva lasciato trapelare l’intenzione, ad inizio di aprile, di presentare un’offerta per CoBa, nel caso di fallimento delle trattative tra le due tedesche.
Operazione Fineco legata a Commerzbank?
Il sospetto che il miliardo appena incassato serva a finanziare l’acquisizione di CoBa appare fondato. In borsa, questa capitalizza 10 miliardi, 2,5 volte in meno di Unicredit. Per rilevare, quindi, almeno una quota pari a quella posseduta dallo stato di circa il 15,6%, dovrebbe spendere non meno di 1,5 miliardi di euro. Ma c’è un primo ostacolo, quasi insormontabile agli occhi della Germania: Piazza Gae Aulenti risulta parecchio esposta verso lo stato italiano, cioè detiene troppi BTp; quasi una sessantina di miliardi in valore, e questo per i tedeschi è un peccato, oltre che un pretesto per non vendere a un’italiana.
Guarda caso, tra le azioni annunciate dal consiglio di amministrazione per potenziare il capitale figura il dimagrimento dei BTp iscritti a bilancio, portandoli in linea con le quantità detenute dai principali gruppi italiani ed europei, in relazione agli attivi. Grosso modo, Unicredit detiene titoli di stato italiani per circa il 7% degli attivi, una percentuale in sé affatto preoccupante, ma il punto è che Commerzbank ne possiede per altri 30,8 miliardi, il cui valore attuale di mercato sarebbe di 3 miliardi più basso. Con l’eventuale fusione, si ritroverebbero a detenere sui 90 miliardi di BTp, un po’ meno del 7% degli attivi combinati, ma in valore assoluto un importo rilevante, specie per le autorità tedesche, che vedono il debito pubblico italiano come fumo negli occhi.
Sulle banche la Germania fa come vuole, ecco come sta fregando i partner dell’euro
Unicredit tra il 2017 e il 2018 ha più che triplicato i BTp iscritti a bilancio come titoli da detenere fino alla scadenza, portandoli a una ventina di miliardi di euro e sottraendoli all’impatto negativo che l’altalena dei rendimenti sul mercato secondario provoca potenzialmente sul conto economico. In pratica, se detengo un bond fino alla fine, gli investitori non devono preoccuparsi di un calo del prezzo, perché non lo dovrò rivendere.
Uno scontro “di sistema” tra Italia e Germania
Che l’unica banca sistemica italiana possa tagliare il suo portafoglio di BTp per salvare una banca tedesca, oltre tutto partecipata dallo stato, non sarà un’operazione che passerà inosservata sul piano politico. Anche perché Unicredit vantava prestiti, al 31 dicembre scorso, per l’8,4% del totale in Italia, nonché depositi per il 10%. E dal confronto tra prestiti e depositi nei primi suoi tre mercati di attività, scopriamo che nel nostro Paese presta alla clientela commerciale solo 700 milioni in meno rispetto a quanto raccoglie, mentre in Germania ben 7,2 miliardi in meno e in Austria 2,4 miliardi. In altre parole, la banca usa quasi del tutto i depositi italiani per finanziare imprese e famiglie in Italia, mentre così non è negli altri due principali mercati. E i BTp in portafoglio incidono per oltre un terzo delle sue attività finanziarie totali.
Le banche italiane hanno finanziato tutto il debito pubblico dell’ultimo anno
Cosa accadrà con l’eventuale acquisizione di Commerzbank? Il governo tedesco approverà il “salvataggio”, pretendendo in cambio un allentamento del legame tra Unicredit e l’Italia, attraverso la vendita di BTp e la riduzione del credito a famiglie e imprese, così da minimizzare l’impatto derivante dal rischio Paese? Se così fosse, si tratterebbe di un dossier davvero scottante da gestire per Mustier; difficile che possa passare per pura operazione di mercato l’acquisto di una banca controllata dallo stato, il quale imporrebbe le sue condizioni all’acquirente per preservare il tessuto economico-industriale tedesco, oltre che per garantire la solidità finanziaria del soggetto rilevato. E tutto questo avverrebbe (condizionale d’obbligo, per ora siamo ai sospetti) a discapito del sistema Italia.