La vittoria di Donald Trump ha messo le ali ad asset come il mercato azionario e le “criptovalute”, ma a rimetterci le penne sono stati l’obbligazionario e le valute mondiali contro il dollaro. In particolare, paga dazio, termine mai usato così a proposito, il peso messicano. Dalle elezioni Usa perde poco più dell’1,50%, ma c’è da dire che il vero tracollo la divisa latinoamericana lo ha accusato nell’ultimo anno: -13,50% contro il biglietto verde. Con il secondo mandato per il tycoon, le cose non potranno che andare peggio.
Esportazioni negli Usa vitali
Il muro al confine con il Messico è il grande pallino di Trump, che punta nel prossimo quadriennio ad arrestare i flussi dei migranti clandestini arrivati a frotte negli ultimi anni. La presidente Claudia Sheinbaum, insediatasi appena un mese fa, avrà il suo bel da farsi per non irritare Washington. A differenza del primo mandato, quando l’amministrazione Trump temporeggiò su molte promesse e neppure le implementò realmente tutte, stavolta è deciso a portare a casa i risultati. Il mandato ricevuto dagli elettori è stato, peraltro, netto e chiaro. E la sua prima nomina è stata non a caso quella di Tom Homan a “zar del confine”, già responsabile per l’immigrazione.
La caduta del peso messicano è tutt’altro che puramente psicologica, come spesso capita sui mercati in reazione agli eventi. L’economia del Messico rischia il tracollo vero e proprio se Trump mettesse in atto anche solo una parte delle sue minacce. Iniziamo con il dato saliente: le sue esportazioni verso gli Stati Uniti ammontavano a più di 475 miliardi di dollari nel 2023. Esse erano pari al 26,6% del Pil e all’80% delle sue intere esportazioni.
Messico al collasso senza Usa
Sapete qual è il dato drammatico? Calcolando l’import-export con il resto del mondo, l’anno scorso il Messico registrava un disavanzo di quasi 31 miliardi. Questo vuol dire solo una cosa: gli States tengono a galla la sua economia, la quale altrimenti sprofonderebbe. E non è finita. Le rimesse degli emigranti valevano 63,3 miliardi, il 3,5% del Pil. Molte di queste arrivano da lavoratori clandestini proprio negli Stati Uniti e il cui rimpatrio farebbe precipitare la bilancia dei pagamenti.
Dunque, è perfettamente razionale che il peso messicano collassi. Anche perché fino al 2026 Messico, Stati Uniti e Canada sono legati da un accordo commerciale noto come USMCA, che anni fa rimpiazzò il vecchio Nafta. Ma ciò non toglie che uno dei contraenti possa anticiparne la revisione. E il contraente forte è proprio Washington, che importa dai partner più di quanto non esporti verso le loro economie. Un andazzo che per Trump deve finire. E saranno eventualmente i dazi a riportare le cose come dovrebbero, almeno nelle sue intenzioni.
Peso messicano fiuta aria di crisi
Con un’economia così fortemente dipendente dagli Stati Uniti, il Messico non può che risentire bruscamente del cambio di policy in corso alla Casa Bianca. Non ha avuto l’avvedutezza negli ultimi anni di cercare di diversificare le sue esportazioni per mitigare i rischi. Né ha dato ascolto alle richieste, non solo trumpiane, di monitorare più seriamente le sue frontiere. Il tempo del dialogo sembra finito. Il peso messicano inizia già a scontare le criticità dei prossimi mesi, quando quasi certamente Trump cercherà di mantenere fede ai propri impegni elettorali. Il “rimpatrio più grande della storia” e i dazi non sono più minacce verbali di un leader dell’opposizione, bensì il programma di governo del presidente eletto.