I ministri dell’OPEC+ si riuniranno oggi in videoconferenza dopo il fallimento delle trattative di venerdì scorso. Gli Emirati Arabi Uniti hanno opposto la loro contrarietà alla proposta dell’Arabia Saudita di procrastinare il taglio dell’offerta di petrolio fino alla fine del 2022. Senza l’intesa, salterebbe l’aumento della produzione di 400.000 barili al giorno da agosto a dicembre, come da accordo.
Dubai eccepisce che la sua quota dovrebbe salire dagli attuali 3,2 a 3,8 milioni di barili al giorno. Riad è contraria, temendo che tutti gli altri partner del cartello finirebbero per pretendere la stessa revisione a proprio favore, di fatto facendo naufragare l’accordo con cui nella primavera 2020 l’OPEC+ riuscì a ridurre consistentemente l’offerta per sostenere le quotazioni internazionali.
A differenza dello scorso anno, Dubai non ha minacciato di lasciare l’organizzazione, sebbene l’ipotesi resti nell’aria. I mercati temono che il mancato accordo spinga il prezzo del petrolio anche sopra 80 dollari. Tuttavia, potrebbe accadere il contrario, specie dopo una prima fase di shock. Le quotazioni rischiano di collassare per la corsa alla produzione di tutti i membri dell’OPEC+, una volta che saltasse l’intesa.
Petrolio al test della variante Delta
Lo scontro rischia di segnare i rapporti geopolitici sinora molto stretti tra il regno saudita e l’emirato. Quest’ultimo punta a fare della propria compagnia petrolifera statale (Abu Dhabi National Oil Company) un attore internazionale e non più solo nazionale, slegato dall’influenza dello stato nelle decisioni relative ai livelli di produzione. In mattinata, il prezzo del petrolio risulta in leggera crescita. Brent a +0,24% a 76,34 dollari al barile. Siamo sostanzialmente a +25 dollari da inizio anno, quasi a +50%.
La stabilizzazione delle quotazioni sarebbe indispensabile in questa fase per allontanare lo spettro di una spirale inflazionistica incontrollata. Negli USA, l’indice dei prezzi a maggio è già salito al 5%, ai massimi da 12 anni.