Prezzo del petrolio in caduta libera sui mercati internazionale. Mentre scriviamo, un barile di Brent costa intorno a 71,50 dollari, giù di quasi il 5,50% rispetto alla chiusura di venerdì scorso. La quotazione è scesa ai livelli più bassi da un mese. Il tracollo è stato provocato dall’allentamento delle tensioni in Medio Oriente. Gli attacchi di Israele contro “obiettivi militari” in Iran sono stati percepiti come “mirati” e la stessa Repubblica Islamica ha voluto sgonfiare l’accaduto. Per il momento rientra il timore di un’escalation nell’area, che avrebbe contraccolpi sul mercato del greggio.
Dollaro su
Da questo punto di vista, il crollo del petrolio è una buona notizia. Esso risente, tuttavia, anche dell’apprezzamento del dollaro. Nell’ultimo mese, guadagna il 4% in media contro le principali divise mondiali. Ciò rende per gli acquirenti non americani più costose le materie prime denominate nella divisa americana. La domanda ne risente negativamente.
Torna il Trump trade
Ma c’è un altro fattore che starebbe indebolendo le quotazioni del petrolio. La congiuntura economica internazionale è debole, con l’Europa in stagnazione e la Cina in rallentamento. Quest’ultima è stata costretta a imbarcarsi in stimoli monetari per sostenere la crescita. Lo yuan si è indebolito contro il dollaro, perdendo circa l’1,7% nell’ultimo mese. Un quadro non favorevole alla domanda.
Infine, il “Trump trade”. I sondaggi segnalano profonda incertezza, mentre le scommesse sui mercati puntano sostanzialmente a una vittoria dell’ex presidente alle prossime elezioni del 5 novembre. L’evento sarebbe considerato negativo per il petrolio. In primis, perché gli Stati Uniti estrarrebbero verosimilmente più barili di “shale”, grazie sia all’allentamento delle restrizioni ambientali e sia del disfacimento dell’agenda green perseguita sotto l’amministrazione Biden.
Petrolio specchio dell’economia mondiale
Inoltre, a differenza dei democratici al governo, Trump sarebbe più vicino all’Arabia Saudita, la quale potrebbe convincersi ad aumentare l’offerta di petrolio nei prossimi mesi insieme agli alleati dell’Opec. Infine, la sua politica aggressiva sul fronte dei dazi contro i prodotti cinesi è considerata negativa per le prospettive del commercio mondiale, quindi, anche per la crescita in Asia ed Europa, in particolare. Dunque, se è indubbio che un petrolio meno caro stia già facendo contenti i consumatori nelle economie importatrici, c’è da dire che esso è lo specchio di un’economia meno in salute di quanto pensassimo fino a poche settimane addietro.