Il ministro del Petrolio, Bijan Zanganeh, ha dichiarato che il governo di Teheran si pone come obiettivo un aumento delle estrazioni in Iran ai livelli degli anni Settanta. In numeri, ha spiegato che bisognerà tendere a 6,5 milioni di barili al giorno, così da offrire risposte all’economia, ma anche per consolidare il potere politico nella regione, ha aggiunto.
Pur non avendo fatto alcun riferimento esplicito, di fatto il ministro ha ammesso che le estrazioni di petrolio in Iran fossero notevolmente più elevate sotto la shah di Persia.
In queste settimane, la nuova amministrazione del presidente Joe Biden sta riesumando l’accordo del 2016 con l’obiettivo di superare l’embargo. Gli analisti dell’OPEC si aspettano che l’Iran sarà in grado di far affluire sul mercato tra 500.000 e 1 milione di barili al giorno di petrolio entro la fine dell’anno. Una boccata d’ossigeno per un’economia al collasso, alle prese con alti tassi di disoccupazione, specie giovanile, un’inflazione al 50% e un tasso di cambio che sul mercato nero vale una frazione di quello ufficiale.
Petrolio in Iran per ragioni di potere
Risalire ai livelli di petrolio in Iran estratti negli anni Settanta, tuttavia, non sarà per niente facile. Anzi, obiettivamente quella di Zanganeh sembra una frase buttata lì per creare aspettative miracolistiche alla vigilia delle elezioni presidenziali. Il paese manca di capitali da investire.
Venerdì 18 giugno, si terranno le elezioni presidenziali e in corsa non ci sarà il presidente uscente Hassan Rohani, che ha già espletato due mandati consecutivi. Né correrà alcun candidato dell’area riformista. Stando ai sondaggi, primo sarebbe l’ultra-conservatore Ebrahim Raisi, seguito a distanza da Abdolnaser Hemmati. Si tratta del governatore della banca centrale fino a poche ore fa. Quest’ultimo è accreditato di meno del 10% dei consensi, ma spera di raccogliere il sostegno di quell’area riformista priva di un proprio uomo.
L’Iran ha continuato ad esportare petrolio, in barba alle sanzioni americane, principalmente alla Cina e scaricando la materia prima da una nave all’altra in acque internazionali, così da nasconderne la provenienza. Oltre all’obiettivo economico, l’aumento delle estrazioni servirebbe a rafforzare la presa nella regione. Teheran combatte costose “guerre per procura” contro i sauditi nello Yemen e in Siria, mentre continua a controllare il Libano tramite Hezbollah. Per questo ha bisogno di fiumi di denaro che non possiede e la popolazione iraniana è sempre più convinta che le risorse vengano mal impiegate e dirottate all’estero per campagne di influenza che alla fine della fiera non sostengono affatto il suo benessere. Con più dollari in cassa dopo la fine delle sanzioni, il Medio Oriente rischia di vedere acuite le tensioni tra potenze regionali.