Non c’è forse economia al mondo che consideriamo più benestante, egualitaria e sostenibile della Norvegia così ricca di petrolio e gas. I numeri sono dalla sua parte. Il Pil pro-capite si aggira sui 90.000 dollari e già nel 2024 quasi la totalità delle auto vendute sono state elettriche. Il fondo sovrano dispone di asset per quasi 1.700 miliardi di euro, a fronte di una popolazione di neppure 5,5 milioni di abitanti. Per qualità della vita è ai vertici della classifica mondiale e sembra che da queste parti ci sia ben poco di cui lamentarsi.
Petrolio in Norvegia non basta, è caccia ai ricchi
La Norvegia è da qualche tempo un Paese sempre più ostile nei confronti dei contribuenti più ricchi. Dei primi 400 hanno fatto le valigie ben 100 dopo l’aumento dell’imposta patrimoniale all’1,1%. In totale, rappresentavano la metà della ricchezza del gruppo considerato. E se i socialisti si compiacciono di questa fuga degli avidi capitalisti, la verità è che l’economia scandinava mostra una preoccupante scarsa attrattività per coloro che volessero fare impresa, specie nei settori legati all’innovazione.
A fronte dei numeri inquietanti riguardo alla fuga dei contribuenti più ricchi, il governo di sinistra del primo ministro Jonas Gahr Støre non solo non ha indietreggiato, ma ha deciso di raddoppiare. Coloro che dal 2024 volessero lasciare la Norvegia, dovranno pagare una sorta di “exit tax” sui profitti non realizzati. L’aliquota complessiva ammonta al 38%. In pratica, se un contribuente detenesse azioni, obbligazioni e quote in fondi d’investimento e decidesse di spostare la residenza all’estero, dovrebbe versare allo stato il 38% dei guadagni teorici. Poiché non è detto che possegga la liquidità necessaria, si è costretti spesso a vendere parte degli asset. E per pagare 1 milione di corone (circa 85.000 euro) è necessario disinvestire qualcosa come 1,6 milioni.
Muro della vergogna
Fredrik Haga è uno degli imprenditori che ha deciso di spostarsi in Svizzera.
Il nome di Haga compare nel “muro della vergogna”, una bacheca messa su negli uffici del Partito della Sinistra Socialista e che contiene i nomi di tutti i contribuenti che hanno lasciato il Paese per effetto della patrimoniale. E cosa c’entra tutta questa storia con il petrolio della Norvegia? A spiegarlo è stato lo stesso imprenditore, il quale ammette che i politici di Oslo si sono mostrati capaci di gestire con sapienza la risorsa dopo la prime estrazioni nel Mar Artico di mezzo secolo fa. Hanno istituito un fondo diventato imponentissimo e che praticamente detiene l’1,5% del mercato azionario globale. Hanno altresì limitato i prelievi possibili dei governi, al fine di impedire che le entrate derivanti dalla vendita del petrolio fossero scialacquate a discapito degli investimenti per il futuro.
Una maledizione nascosta
Ma anche in Norvegia il petrolio avrebbe il suo lato oscuro. I politici, specie di sinistra, si sono disancorati dalla realtà. Confortati degli ottimi risultati conseguiti dalla gestione delle risorse energetiche, hanno in misura crescente ignorato i principi fondamentali alla base della creazione della ricchezza. Le imprese vengono snobbate; quasi non si capisce più ad Oslo che senza di esse non vi siano lavoro e produzione di beni e servizi. Il Paese arranca sul fronte dell’innovazione rispetto al resto della Scandinavia. Tra le 30 aziende più grandi dell’area ve ne erano 7 norvegesi nel 2009, mentre adesso sono rimaste in 2: Equinor, il nome della compagnia petrolifera controllata dallo stato, e la banca DNB.
Nella lista dei miliardari di Bloomberg compare ancora un solo nome norvegese. E’ vero che parliamo di un Paese di piccole dimensioni, ma sembra davvero poco per un’economia che vale sui 500 miliardi di dollari. Il petrolio alla Norvegia ha dato alla testa? Parrebbe di sì a sentire testimonianze come quella di Haga. La creazione di ricchezza viene stigmatizzata dalla politica, ma senza di essa non vi sarebbe alcuna economia di mercato. Il benessere può diventare illusorio se fondato su una sola materia prima destinata prima o poi all’esaurimento. Molti denari pubblici non vengono impiegati con oculatezza, come dimostra il progetto da 3,2 miliardi di dollari nell’off-shore eolico, considerato sul piano finanziario non sostenibile.
Petrolio in Norvegia e ricadute politiche
Non si sa quanto abbia inciso la patrimoniale nel rendere l’attuale governo impopolare. In vista delle elezioni legislative di settembre, il Partito Laburista è dato in forte calo nei sondaggi. Un boom di consensi lo otterrebbe il Partito del Progresso, formazione dell’ultra-destra, che conquisterebbe più del doppio dell’11,6% ottenuto nel 2021. Al secondo posto si piazzerebbe il Partito Conservatore di centro-destra, sopra anch’esso al 20%. Che la loro possibile vittoria porti allo smantellamento o almeno alla riduzione dell’imposta? Nell’attesa prosegue la fuga dei capitali. E rischiano di non tornare così in fretta, neanche se ad Oslo l’aria cambiasse per diventare più pro-business.
Bravi e belli questi norvegesi…
Ma se sono cosi attenti all’ambiente e alla sua salvaguardia perche’ non smettono di pompare petrolio e gas dal mare del nord? Per la cronaca le esportazioni di gas e petrolio del mare del nord ammontano al 51 % delle esportazioni e al 25% del p.i l. dello stato norvegese….