E’ tornato ufficialmente l’orso sul mercato del petrolio. Le quotazioni del Brent sono scese stamattina a 42,09 dollari al barile, quelle del Wti americano a 40,75. Rispetto al picco di inizio giugno, quindi, i prezzi sono crollati del 20%, che è proprio la soglia percentuale minima per poter parlare di mercato bearish.
E pensare che tra febbraio e giugno, il greggio era arrivato a costare il doppio, grazie a un rally successivo al raggiungimento dei livelli minimi dall’inizio del millennio. Adesso, però, Morgan Stanley non esclude che i prezzi siano diretti verso i 30 dollari, mentre Goldman Sachs, che dopo mesi di notevole pessimismo era tornata a prevedere un recupero veloce delle quotazioni, stima che queste rimarranno da qui a un anno nel range di 45-50 dollari e che la ripresa sarà più lenta delle precedenti attese.
Le cause del pessimismo
Cosa ha spento l’ottimismo tra gli investitori? Diverse le cause. Per prima cosa, il taglio dell’outlook economico globale da parte dei principali organismi internazionali preluderebbe a una domanda energetica più debole di quanto già stimato, mentre l’offerta resta abbondante, per quanto la produzione americana sia in calo di circa un milione di barili al giorno rispetto all’apice di 9,6 milioni toccato nell’aprile dello scorso anno.
Nel frattempo, il ritorno dell’Iran sui mercati internazionali dopo l’embargo sta determinando un aumento dell’offerta in Asia, dove le esportazioni di Teheran a giugno sono cresciute su base annua del 47,1% a 1,72 milioni di barili al giorno.
L’estate non smuove la domanda
Le scorte di petrolio USA non solo restano nettamente al di sopra della media del periodo, ma la scorsa settimana sono risalite di 1,6 milioni di barili, mentre la stagione estiva non ha portato a un calo degli stock di benzina, visto che continuano a crescere.
Domanda tendenzialmente debole, offerta ai massimi.