I prezzi del petrolio si sono diretti ormai attorno ai 45 dollari al barile, ma potrebbero puntare verso i 40 dollari, testandone la resistenza al ribasso, allorquando l’OPEC non trovasse alcun accordo al vertice di fine mese a Vienna. Venerdì scorso, le quotazioni hanno subito un tonfo, dopo che si è diffusa la notizia di una minaccia saudita alla riunione della settimana precedente, rivolta ai membri restanti del cartello. Riad ha paventato l’ipotesi di aumentare l’offerta giornaliera dai 10,7 milioni di barili attuali a 11 e persino 12 milioni di barili.
Cosa non è andato? Il ministro Khalid al-Falih, che pure è più accomodante del suo predecessore Alì al-Naimi, ha offerto la disponibilità a tagliare la produzione di 400.000 barili al giorno, purché anche gli altri facciano la propria parte. All’Iran, in particolare, sarebbe stato chiesto di “congelare” la produzione 3,66 milioni di barili al giorno, ossia ai livelli di settembre. Teheran ha risposto picche, sostenendo, anzitutto, di avere estratto mediamente 3,85 milioni di barili al giorno due mesi fa e che sarebbe sua intenzione puntare a una quota di offerta del 12,7% del totale OPEC, come prima che le fossero comminate le sanzioni da parte dell’Occidente. (Leggi anche: Petrolio, prezzi sotto 50 dollari: accordo OPEC più lontano)
Scontro tra Arabia Saudita e Iran sulla produzione di petrolio
Se l’Iran volesse mantenere la sua quota di mercato pre-embargo, in rapporto alla produzione del cartello, la sua produzione salirebbe, ai valori attuali, a 4,2 milioni di barili quotidiani. Non solo, gli iraniani rimproverano ai sauditi di avere aumentato le proprie estrazioni di 1 milione di barili al giorno negli ultimi due anni, salvo mostrarsi intenzionati a ridurle di appena 400.000.
Lo scontro è stato così duro, che l’Arabia Saudita avrebbe minacciato persino di abbandonare il vertice.