Si mostrano stabili, ma con tendenza al ribasso, i prezzi del petrolio, dopo che l’American Petroleum Institute ha stimato le scorte negli USA, al 23 dicembre scorso, in crescita settimanale di 4,2 milioni di barili, nettamente al di sopra delle attese. Il dato ufficiale sarà svelato nel tardo pomeriggio di oggi, ma nel frattempo possiamo intravedere quanto si fosse profetizzato, dopo il raggiungimento dell’accordo OPEC, alla fine del novembre scorso, con cui i 14 membri del cartello si sono impegnati a tagliare l’offerta di 1,2 milioni di barili al giorno, a partire da gennaio.
Cosa sta succedendo? Gli USA starebbero approfittando del rialzo delle quotazioni, pari a quasi il 30% dalla metà di novembre, per aumentare le proprie estrazioni e tornare così a riattivare quei pozzi dismessi nell’ultimo biennio, nel corso del quale i prezzi sono arrivati a schiantarsi ad appena un quarto dei livelli toccati alla metà del 2014.
Segnale negativo per l’OPEC
Non tenendo ancora conto dell’ultimo dato stimato dall’API, notiamo già un incremento delle scorte americane superiore a quelle del periodo. Nell’ultimo decennio, a dicembre gli USA hanno registrato una crescita settimanale media di 1,7 milioni di barili, mentre questo mese le scorte risultano salite al ritmo di oltre 2 milioni di barili a settimana. Se al 23 dicembre scorso avessero segnato +4,2 milioni, la crescita mensile sarebbe quasi doppia di quella media dell’ultimo decennio, anche se già nel dicembre dello scorso anno si è registrato un aumento settimanale di quasi 2 milioni di barili.
Sarebbe un brutto segnale per l’OPEC, che spera di risollevare le quotazioni fino a ridosso dei 60 dollari al barile, anche perché dal mese prossimo alla Casa Bianca ci sarà un tale Donald Trump, che punta ad agevolare le nuove trivellazioni e a incentivare l’aumento dell’offerta americana per raggiungere l’indipendenza energetica.