Si tratta davvero di una questione che getta discredito sull’intero sistema paese: la questione della presenza di PFAS, veleno chimico, nel sangue dei quattordicenni veneti (che abitano nella cosiddetta ‘zona rossa’) non è soltanto l’ennesima vicenda che concerne i rapporti tra uomo e ambiente, ma c’è qualcosa in più sotto. A raccontarlo è uno studio di Greenpeace, che svela gli interessi economici che si trovano alle spalle di questa vicenda. Nel frattempo, Zaia, governatore della regione Veneto, ha deciso di agire con una legge ‘regionale’, dal momento che, dal governo centrale, sembra esserci poca sensibilità sulla questione.
Occorre, per correttezza di cronaca, sottolineare come manchino studi approfonditi sul potenziale ‘velenoso’ di questa sostanza chimica, il PFAS, ma basta segnalare questo dato per capire che la cosa è di una certa rilevanza: normalmente, nell’organismo si trovano 2-3 nanogrammi di questa sostanza per ogni grammo di sangue (risultati di uno studio americano); le analisi effettuate in Veneto parlano di 70 e anche 300 nanogrammi. Insomma, comunque una quantità molto elevata.
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Lo studio di Greenpeace: cosa c’è davvero dietro la questione PFAS
Grazie alla collaborazione con un istituto olandese, Greenpeace ha cercato di capirci qualcosa sulla questione PFAS. Dietro le aziende che hanno ‘inquinato’ di PFAS l’acqua del Veneto ci sarebbe la Icig, gruppo chimico controllato da una holding con sede in Lussemburgo, la quale, negli ultimi anni, ha pagato un’aliquota sulle tasse appena del 13,3%. Questa holding è gestita da due tedeschi, ma è al 50% proprietà di un fondo svizzero: insomma, un gioco di scatole cinesi, che, solitamente, nasconde qualche inghippo. Il Gruppo Icig è particolarmente ‘cinico’ ed agisce in questo modo: rileva delle imprese, le ristruttura tagliando i costi del lavoro (licenziando i dipendenti), infine le rivende traendo profitto.
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La Miteni SPA ha chiuso ogni anno il bilancio in passivo. In più, nonostante abbia commissionato varie agenzie ambientali di analizzare i rischi e gli impatti, non ha mai trasmesso i risultati alle autorità. In parole semplici, questa condotta totalmente omissiva ha fatto sì che l’inquinamento si propagasse per tutta la falda e per chilometri e chilometri. Il tutto per arricchire, una holding lussemburghese, tenuta da tedeschi e da un fondo svizzero, alle spalle dei lavoratori italiani e soprattutto con grandi danni per la salute. L’Italia non agisce.