Dov’è finito “Super Mario”? A quanto pare, strada facendo avrà perso molti suoi superpoteri, compreso quello di magnetizzare i suoi interlocutori. Da quando sono esplose le tensioni geopolitiche nel cuore d’Europa, del premier Draghi non v’è traccia nei consessi internazionali. Prima dell’invasione russa dell’Ucraina, era stato ignorato dalle cancellerie europee, con Francia, Germania e Regno Unito ad avere gestito i colloqui con Mosca e Kiev nel tentativo di evitare la guerra. Quando questa è scoppiata, l’Italia ha continuato ad essere ignorata.
In sede di comminazione delle sanzioni contro la Russia, l’opposizione di Draghi è stata spenta due sabati fa, allorquando la stampa americana lanciava la notizia che il suo governo avrebbe trattato con i russi di affari a favore di società italiane fino alla metà del febbraio scorso. La stigmatizzazione di un comportamento, che è finito per isolare e paralizzare l’iniziativa italiana.
La marginalità di Draghi fuori dall’Italia
E l’altro ieri, è arrivata la notizia che il presidente cinese Xi Jinping ha parlato al telefono con il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente francese Emmanuel Macron, cercando di mediare per risolvere il conflitto in Ucraina. Ancora una volta, Draghi non pervenuto. E’ un grosso guaio per l’economia italiana, che dalle sanzioni rischia più di tutte. La sua dipendenza energetica dalla Russia è maggiore di quella di qualsiasi alto paese europeo. Eppure, il nostro governo sta mostrando alcuna capacità d’influenza decisionale in Europa. Subiamo passivamente le iniziative concertate a Berlino come a Parigi e che difficilmente tengono conto dell’interesse nazionale italiano.
Draghi sembrava essere l’asset perfetto per tornare a proteggere gli interessi italiani, ammesso che lo abbiamo mai fatto in passato. Figura autorevole, competente e con una visione delle cose. I risultati sin qui conseguiti appaiono fallimentari, in linea con quelli di tutti i suoi predecessori.
Ignorati gli interessi dell’economia italiana
Se l’Europa non ha (ancora) imposto alcun embargo su petrolio e gas russi, lo dobbiamo alla sola opposizione di Germania e Olanda. La voce dell’Italia è stata semplicemente ignorata, anzi non c’è stata. Roma è paralizzata dal chiacchiericcio che da anni gira attorno a sé e che la vedono ora troppo vicina alle posizioni di Mosca, ora a quelle di Pechino. Con il governo “giallo-verde”, solamente tre anni fa firmavamo l’intesa con la Cina per fare parte della Via della Seta, un’iniziativa senza precedenti in Europa e che attirò le ire dell’America e le perplessità dell’Unione Europea.
Siamo stati percepiti come il cavallo di Troia cinese in Occidente. Di quella firma, per fortuna, non se ne fece nulla, a conferma che l’Italia non sappia neppure cosa vada sottoscrivendo e con quali conseguenze. Ma di quell’accordo sono rimasti il sospetto delle altre cancellerie e il disgusto di Pechino per il cambio successivo di linea dell’Italia. Il partito filo-cinese esiste tuttora a Roma e vanta molteplici esponenti nel Partito Democratico e nel Movimento 5 Stelle. Viceversa, il partito filo-russo albergava fino al mese scorso sempre tra i 5 Stelle e parte della Lega. Draghi è rimasto vittime di queste contraddizioni: si pone a capo di un governo occidentalissimo, quando al suo interno esistono posizioni diametralmente opposte.
Per l’economia italiana è una sciagura. Dalla guerra ucraina uscirà verosimilmente un equilibrio geopolitico, economico e finanziario mondiale differente da quello odierno e che regolerà i rapporti tra gli stati nei prossimi decenni.