Le pensioni e l’assegno sociale sono due misure profondamente diverse per natura e scopo. Le pensioni derivano direttamente dai versamenti contributivi e dal lavoro svolto nel tempo. L’assegno sociale, invece, è una misura destinata esclusivamente a chi si trova in una situazione economica particolarmente critica e non ha maturato il diritto a una pensione. In sostanza, le pensioni rientrano nel sistema di previdenza sociale, mentre l’assegno sociale appartiene al sistema assistenziale italiano.
Una domanda frequente riguarda proprio gli importi di queste due misure, dal momento che spesso la percezione comune non coincide con la realtà.
Più soldi con l’assegno sociale che con la pensione di vecchiaia, ecco perché
Un lavoratore che abbia accumulato una carriera contributiva inferiore ai 20 anni difficilmente riuscirà a percepire una pensione superiore all’assegno sociale.
Questa anomalia del sistema italiano genera un vero e proprio conflitto sociale, spesso definito come una “guerra tra poveri”. Numerose testimonianze, come quella di Mario, confermano questa situazione:
«Sono Mario e scrivo per una delucidazione su una situazione personale. La mia è soprattutto una forma di sfogo, consapevole che difficilmente qualcosa possa cambiare rispetto alle norme vigenti. Sono andato in pensione di vecchiaia a settembre 2024 con 21 anni di contributi versati al fondo commercianti. Mi hanno liquidato una pensione di appena 520 euro al mese. Mi chiedo come sia possibile che mia sorella, che ha cinque anni più di me (io ne ho 67), è sempre stata casalinga, non si è mai sposata e non ha mai versato contributi, percepisca più di me grazie all’assegno sociale. Non sarebbe stato più conveniente chiedere direttamente l’assegno sociale, evitando così di utilizzare inutilmente 21 anni di contributi?»
In calcoli della pensione e le differenze sull’assegno sociale
La situazione descritta dal nostro lettore non è affatto rara nel panorama previdenziale italiano.
Partiamo da una premessa importante: le pensioni italiane sono oggi calcolate quasi interamente con il metodo contributivo, basato sull’ammontare dei contributi versati, rivalutati e trasformati attraverso specifici coefficienti di trasformazione. Questo metodo si applica integralmente a chi ha iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995 e parzialmente a chi ha iniziato prima di tale data.
In presenza di una carriera lavorativa relativamente breve (circa vent’anni), pochi contributi saranno stati accumulati prima del 1996; dunque, nella maggior parte dei casi, la pensione sarà interamente o prevalentemente contributiva. Nel caso specifico di Mario, probabilmente la sua pensione è interamente contributiva.
Se avesse avuto contributi prima del 1996, avrebbe potuto usufruire delle cosiddette maggiorazioni sociali, che avrebbero lievemente aumentato l’importo finale della pensione. Queste maggiorazioni, infatti, non spettano ai pensionati che ricevono una pensione calcolata integralmente con il metodo contributivo.
Molte pensioni basate sui soli contributi risultano quindi inferiori all’importo dell’assegno sociale, in alcuni casi scendendo anche al di sotto dei 500 euro mensili.
La matematica non è un’opinione
L’assegno sociale è una prestazione puramente assistenziale. Ed è erogata a partire dai 67 anni di età a coloro che non soddisfano i requisiti minimi per ottenere una pensione autonoma.
Nel 2025, l’assegno sociale avrà un importo massimo mensile di 538,69 euro, riservato esclusivamente a chi vive in condizioni economiche particolarmente difficili, ovvero singoli senza reddito o coppie con redditi complessivi estremamente bassi.
Diversamente, la pensione contributiva dipende direttamente dal montante accumulato con i contributi versati nel corso degli anni lavorativi. È quindi evidente che, se i contributi versati sono stati bassi o insufficienti, anche la pensione risultante sarà modesta.
Prendiamo un esempio concreto: ogni mese, un lavoratore dipendente versa circa il 33% del suo stipendio lordo come contributi all’INPS. Questi contributi formano il montante contributivo, che viene rivalutato in base all’inflazione e successivamente moltiplicato per i coefficienti di trasformazione al compimento dei 67 anni di età.
Immaginiamo un lavoratore che per 20 anni abbia percepito uno stipendio mensile lordo di 1.200 euro: il 33% di questa somma, moltiplicato per 240 mesi (20 anni), genera un montante contributivo di circa 95.000 euro. Dopo la rivalutazione, questo montante potrebbe arrivare a circa 100.000 euro. Trasformato in pensione, corrisponde a circa 5.608 euro annui, cioè poco più di 430 euro mensili.
Questo esempio spiega chiaramente perché molti pensionati percepiscono importi inferiori rispetto all’assegno sociale.