Il tessuto economico, commerciale e imprenditoriale italiano si contraddistingue per un’importante presenza di PMI nel nostro Paese. Le medie e piccole attività, nonché le aziende familiari, sono delle realtà particolarmente presenti sul territorio. Non a caso, diverse iniziative governative sono indirizzate a queste attività. Basti pensare, per esempio, che molti degli aiuti approvati in piena emergenza sanitaria si rivolgevano alle PMI.
Quella che inizia come una piccola impresa a conduzione familiare, però, spesso diventa (o è destinata a diventare) un modello di business a più livelli, tanto da rivolgersi ai mercati internazionali.
Quali sono i vantaggi? Quali le differenze? Vediamolo insieme.
Definizione PMI, azienda familiare e multinazionale: cosa sono e come operano
Prima di analizzare opportunità e conseguenze del passaggio da PMI a multinazionale, è necessario fare un passo indietro e partire dalla definizione delle due realtà imprenditoriali.
Che cos’è una PMI, azienda familiare
Il termine PMI è un acronimo utilizzato per “piccole e medie imprese“. In questa categoria rientrano tutte le aziende cui dimensioni rientrano entro certi limiti occupazionali e finanziari prefissati. Per aiutarci ad inquadrare meglio queste realtà la Commissione Europea ha redatto una vera e propria guida (“Guida dell’utente alla definizione di PMI”), che contiene:
- particolari e spiegazioni sulla definizione di PMI entrata in vigore il 1° gennaio 2005;
- un modello di dichiarazione che le singole imprese possono compilare al fine di determinare la loro condizione di PMI nel momento in cui presentano una domanda nel quadro di un programma di assistenza alle PMI.
L’obiettivo, è stato spiegato, è quello “garantire che a beneficiare delle misure di assistenza siano solo le imprese che ne hanno realmente bisogno”. Per questo motivo, la definizione di PMI europea si applica a tutte le politiche, i programmi e le misure che la Commissione elabora e gestisce per le piccole e medie imprese.
I limiti
La definizione, tuttavia, tiene in considerazione possibili rapporti con altre imprese. In alcuni casi tali rapporti, soprattutto se creano collegamenti di proprietà importanti o danno accesso a ulteriori risorse finanziarie o di altro tipo, possono comportare il fatto che un’impresa non sia una PMI. Nello specifico, la definizione prende in considerazione tre criteri, ovvero: dipendenti, fatturato annuo e totale bilancio annuale. La categoria delle micro, piccole e medie imprese è costituita da imprese che hanno:
- meno di 250 occupati;
- fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro;
- in alternativa un totale bilancio annuo che non supera i 43 milioni di euro.
Per essere considerata una PMI, è obbligatorio soddisfare il criterio del numero di effettivi. D’altro canto, un’impresa può scegliere di soddisfare il criterio del fatturato o il criterio del totale di bilancio. Al contrario, l’impresa non deve soddisfare entrambi i requisiti e può superare una delle soglie senza perdere la sua qualifica di PMI.
In questo ambito, in particolare, sono state individuate tre categorie di piccole e medie imprese:
- autonome, se l’impresa è completamente indipendente o ha una o più partecipazioni di minoranza (ciascuna inferiore al 25%) con altre imprese;
- associate, se la partecipazione con altre imprese arriva almeno al 25%, ma non supera il 50%, si considera che il rapporto sia tra imprese associate;
- collegate, se la partecipazione con altre imprese supera il tetto del 50%, le imprese sono considerate collegate.
Nell’ambito di queste differenziazioni, infine, un’importante nozione nella definizione di PMI è il concetto di controllo, giuridico e de facto. Il controllo determina se un’impresa sia o meno considerata associata o collegata.
Che cos’è una multinazionale
Per inquadrare bene cosa sia una multinazionale, possiamo rifarci alla definizione dell’azienda data da Treccani. Secondo la descrizione enciclopedica, multinazionale è un termine “che riguarda e che interessa più nazioni: società, imprese e grandi imprese economiche la cui proprietà e direzione si trovano in un paese, mentre gli impianti di produzione e le strutture di distribuzione sono dislocati in paesi diversi, e le cui decisioni hanno quindi peso politico, oltre che economico, anche fuori del paese d’origine“.
Viene definita anche come “l’insieme dei mezzi di produzione (capitali liquidi, tecnologie, competenze manageriali, ecc.) che un’impresa è in grado di utilizzare, trasferendoli con facilità e rapidità da un paese all’altro“.
Il passaggio da PMI a multinazionale, quindi, avviene (o può avvenire) se l’azienda a conduzione familiare sposta il suo business all’estero (o ha interesse nel farlo). Servono quindi risorse, investimenti e una quota di mercato che garantisca determinate azioni.
I vantaggi fiscali del passaggio da PMI (o azienda familiare) in multinazionale
Uno dei motivi per cui un’azienda familiare decide di espandersi, abbracciando opportunità e doveri che derivano dall’essere una multinazionale, è principalmente quello fiscale. Il passaggio da PMI a multinazionale, ovviamente, deve essere ben valutato.
L’impresa multinazionale agisce spesso in giurisdizioni diverse. In linea generale, per garantire operatività, viene costituita una holding che detiene le partecipazioni in varie società operative, a loro volta costituite nei vari Stati ove la multinazionale opera (o intende arrivare). Grazie a questo sistema, le multinazionali possono:
- sfruttare le diverse giurisdizioni fiscali (con diverse tassazioni, diversi trattati contro le doppie imposizioni);
- effettuare operazioni in grado di spostare redditi da stati a più elevata tassazione verso stati a tassazione privilegiata, sfruttando la legislazione a proprio vantaggio (e non in maniera fraudolenta).
Questo tipo di operazioni si possono mettere in atto attraverso l’erogazione di prestiti, la distribuzione di dividendi, interessi o royalty.
I vantaggi fiscali
Tra i più comuni vantaggi fiscali a cui le PMI puntano, grazie al passaggio da azienda familiare a multinazionale, va sicuramente citato il regime Iva di gruppo. Il cd. modello di “Dichiarazione di adesione al regime previsto per le società controllanti e controllate e Comunicazione delle variazioni” (Iva 26) non può più essere utilizzato dagli enti o società controllanti che intendono avvalersi, per un determinato anno solare, della particolare procedura di compensazione dell’Iva relativamente a una o più società considerate “controllate”.
A questo si aggiungono:
- l’opzione di consolidato fiscale, ovvero il regime di consolidato nazionale che permette la determinazione del reddito complessivo Ires per tutte le società partecipanti, rappresentato dalla somma algebrica delle singole base imponibili che risultano dalle rispettive dichiarazioni dei redditi;
- la possibilità di ricorrere ai regimi opzionali Oss e Ioss da attuazione al c.d. “VAT e-commerce package”, che introducono un sistema europeo di assolvimento dell’IVA, centralizzato e digitale, che, ampliando il campo di applicazione del MOSS (concernente solo i servizi elettronici, di telecomunicazione e di teleradiodiffusione);
- l’opzione Branch Exemption, che attribuisce la facoltà, alle imprese residenti nel territorio dello Stato, di optare per l’esenzione degli utili e delle perdite attribuibili a tutte le proprie stabili organizzazioni all’estero;
- la detassazione di interessi dividendi e royalties nei gruppi Ue.
Tassazione agevolata: cos’è e come funziona la “Patent box”
Rientra infine tra i vantaggi fiscali riconosciuti alle multinazionali la tassazione agevolata sui redditi derivanti dall’utilizzo di beni immateriali: la cd. “Patent box“. Si tratta di un regime opzionale di tassazione per i redditi d’impresa derivanti dall’utilizzo di software protetto da copyright, di brevetti industriali, di disegni e modelli, nonché di processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili (Legge 23 dicembre 2014, n. 190, articolo 1, commi da 37 a 45). Possono esercitare l’opzione i soggetti titolari di reddito d’impresa, indipendentemente dal tipo di contabilità adottata e dal titolo giuridico in virtù del quale avviene l’utilizzo dei beni.
Attraverso l’esercizio di tale regime di tassazione le imprese, che svolgono attività di ricerca e sviluppo, possono escludere dalla base imponibile il 50% dei redditi derivanti dall’utilizzo, anche congiunto, di determinati beni immateriali (software protetto da copyright, brevetti industriali, disegni e modelli, processi, formule e informazioni relativi a esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili) o dalla cessione degli stessi beni immateriali qualora il 90% del “ricavato” venga reinvestito nella manutenzione o nello sviluppo di altri beni immateriali prima della chiusura del secondo periodo di imposta successivo a quello nel quale si è verificata la vendita.
PMI in Italia: pro e contro del passaggio a multinazionale
Una considerazione importante da fare, arrivati a questo punto, è quella relativa al mantenimento dello “status” di PMI in Italia. Bisogna dire infatti che, nonostante i vantaggi fiscali sopra elencati, le piccole e medie imprese sono sempre più spesso destinatarie di agevolazioni e sconti nel nostro Paese. Trattandosi di una fetta cospicua di imprenditori e contribuenti, il Governo italiano vara spesso misure di incentivazione e di sostegno rivolte a queste imprese.
Ad esempio, tra le agevolazioni attive e promosse dal Mise al momento:
- il credito d’imposta per investimenti in beni strumentali;
- il credito d’imposta ricerca, sviluppo, innovazione e design e formazione 4.O.;
- il fondo di garanzia per le PMI;
- ma anche bandi e iniziative per la diffusione e il rafforzamento dell’economia sociale.
Oltre alle iniziative in ambito nazionale, infine, bisogna anche spostare il proprio sguardo altrove. Le PMI o aziende familiari che intendono trasformarsi in multinazionali, qualora stessero valutando questa opzione solo per i vantaggi fiscali, non possono (né devono sottovalutare) gli ultimi dibattiti sulla “global minimum tax“. Da mesi infatti ormai si discute di un possibile accordo globale per garantire che le grandi aziende paghino un’aliquota minima del 15%. L’obiettivo è scoraggiare le multinazionali dal trasferire i profitti – e le entrate fiscali – verso paesi a bassa tassazione. Indipendentemente da dove vengono effettuate le loro vendite, l’imposta sarà applicata in egual modo.
La tassa minima mira a porre fine alla concorrenza fiscale tra i governi per attirare investimenti stranieri. Spostare redditi da stati a più elevata tassazione verso stati a tassazione privilegiata, dunque, potrebbe non essere più un vantaggio fiscale garantito ad un ex PMI diventata multinazionale.