Lo sblocco di terza e quarta rata del Pnrr nel giro di poche ore è stata una cosa troppo grossa per passare inosservata. Fino a mercoledì si discuteva sul rischio che la tranche da 18,6 miliardi di euro sarebbe arrivata verso fine anno e che la successiva da 16 miliardi sarebbe slittata al 2024. Il Tesoro italiano era già in modalità emergenza per gestire un aumento corposo delle emissioni di titoli di stato per sopperire al mancato incasso della liquidità europea. Poi è arrivato l’annuncio di giovedì inatteso per contenuti e tempi, benedetto dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.
Stallo dovuto a ragioni politiche, non tecniche
Da settimane il blocco della terza rata ruotava tutto attorno a questo problema, tanto che il pur prudente Federico Fubini sul Corriere della Sera aveva notato pochi giorni fa che la questione fosse diventata inspiegabile. Troppi i dettagli tecnici risibili richiesti da Bruxelles a Roma e che avevano spazientito i funzionari del governo. Ad un certo punto, spiega, questi avevano ribattuto ai colleghi europei con un laconico: “diteci una volta per tutte tutto quello che vi serve sapere o non ne usciamo più”.
La verità è che sul Pnrr i dettagli tecnici sono usati da Bruxelles per armare la politica. Nessuno può immaginare così ingenuamente che i piani fiscali di uno stato possano saltare per la verifica dubbia sugli indirizzi dei beneficiari di qualche studentato. Non ce ne vogliano gli universitari, ma non sono fonte di battaglie campali nell’Unione Europea, né in qualsiasi altra parte del mondo.
Meloni guarda a elezioni europee 2024
Il piano era stato avversato duramente dal capogruppo del PPE, il tedesco Manfred Weber, grande oppositore interno della presidente von der Leyen. Egli punta a prendere il suo posto dopo le elezioni europee. Una manciata di deputati del suo partito, però, gli hanno voltato le spalle. Il suo piano d’attacco prevede un’alleanza con la destra conservatrice di ECR, guidata da Giorgia Meloni, nonché una parte dei liberali di Renew Europe e finanche possibilmente la destra radicale che fa capo a Marine Le Pen e Matteo Salvini.
Cosa c’entrano questi eventi con il Pnrr? L’Italia può rivelarsi determinante per gli equilibri politici nella prossima euro-legislatura. Lo fu anche nel 2019, quando i parlamentari del Movimento 5 Stelle a sorpresa votarono per von der Leyen e le consentirono di assumere le redini della Commissione. Senza quei voti, la tedesca sarebbe stata bocciata. Ne seguì una luna di miele tra Bruxelles e Roma sotto il governo Conte II. Guarda caso, esso nacque un mese e mezzo dopo quella votazione. Nel 2024, la premier Meloni punta a fare parte della stanza dei bottoni. Lo vuole fare alleandosi con il PPE e sperando che questi si stacchino dai socialisti. C’è un problema: questo scenario contemplerebbe un cambio alla presidenza. Von der Leyen non avrebbe voti a destra, che andrebbero a favore di Weber.
Tempo gioca a favore di von der Leyen
Dopo avere evitato una sconfitta politicamente rovinosa sulla legge per l’ambiente, la presidente sa che non può autocompiacersi più di tanto.
Lo sblocco fin troppo repentino del Pnrr è stato un segnale di von der Leyen a Meloni. Un “do ut des” destinato eventualmente ad essere ricambiato. Come? Mollando scenari alternativi all’attuale presidente e allineandosi alle posizioni di chi chiede il bis della tedesca. Il tempo gioca a favore di von der Leyen, perché la premier non può attendere di verificare prima se vi siano margini per un “ribaltone” a Bruxelles. Ciò si saprà solo a seguito delle elezioni europee del giugno 2024, ma da qui ad allora ci saranno tre rate del Pnrr da ricevere e il nuovo Patto di stabilità che entrerà in vigore. Un accordo subito le faciliterebbe la vita e le sottrarrebbe la pressione anche sulla ratifica della riforma del MES. Palazzo Chigi avrà tempo questa estate per trarre le conclusioni.