La riforma pensioni non si farà quest’anno. Ormai sono tutti consapevoli che non ci sono, né le risorse, né il tempo per imbastirla. Ci si domanda allora da più parti cosa succederà da gennaio 2023.
Per ora tengono banco solo le promesse dei partiti. Ma cosa aspettarsi dalla nuova classe politica? La cosa più urgente per il nuovo esecutivo sarà quella di trovare i soldi per finanziare la rivalutazione della pensioni dal gennaio. Questo è un impegno inderogabile. Per il resto se ne discuterà il prossimo anno.
Riforma pensioni e Quota 102 in scadenza
Sullo sfondo incombe lo spettro del ritorno integrale delle regole Fornero per tutti dal primo gennaio 2023. Quota 102 (in pensione a 64 anni con 38 di contributi), l’ultima riforma pensioni introdotta dal governo Draghi per evitare lo scalone fra la fine di Quota 100 e le pensioni ordinarie, scadrà a fine dicembre.
Al suo posto potrebbe subentrare Quota 103 (in pensione a 64 anni di età con 39 di contributi). Ma non èd etto che si farà. E’ possibile che per quest’anno non si partorisca nulla lasciando le cose come stanno. Anzi, è probabile che si possa riproporre Quota 102 anche per il 2023 sperando che vi aderiscano più lavoratori rispetto al 2022.
Anche perché, se Quota 102 ha dato la possibilità di andare in pensione qualche anno prima a poche migliaia di lavoratori quest’anno, nel 2023 i numeri attesi con Quota 103 non cambieranno molto. Pertanto, riproporre Quota 102 avrebbe il merito di estendere la platea dei beneficiari includendo anche i nati nel 1959.
A differenza di quota 102, però, sempre secondo le previsioni fatte a suo tempo dal governo Draghi, si potrebbe andare in pensione con quota 103 in maniera flessibile. Cioè a 65 anni di età con 38 di contributi o a 64 anni di età ma con 39 di contributi. In maniera tale da allargare maggiormente la platea dei lavoratori beneficiari.
Come si uscirà dal lavoro nel 2023
A parte Quota 102, le deroghe ai requisiti ordinari per andare in pensione sono in scadenza quest’anno e non è detto che saranno rinnovate.
Se Ape Sociale quasi sicuramente sarà riproposta così com’è, alcuni dubbi rimangono per Opzione Donna. Più che altro per l’età anagrafica di uscita a 58-59 anni, ritenuta troppo bassa in relazione alle aspettative di vita di oggi. Da più parti, a cominciare da Alberto Brambilla, esperto di previdenza e presidente di Itinerari Previdenziali, si auspica da tempo un innalzamento del requisito anagrafico a 60-61 anni.
Sarà però la nuova classe politica a prendere in esame la situazione e a intervenire. Anche in base alle disponibilità finanziarie che, come detto, saranno drenate in maniera massiccia per la rivalutazione di 16 milioni di pensioni in base all’inflazione.
In pensione prima chi svolge lavoro gravosi
Posto quindi che una vera e propria riforma pensioni per evitare dal 2023 il ritorno integrale alle regole Fornero non pare fattibile, qualche ritocco alle deroghe esistenti potrebbe tranquillamente arrivare.
In questo contesto, il leader del Terzo Polo Carlo Calenda ha recentemente dichiarato alla stampa che quello che si può fare entro l’anno agire, al massimo, sulla flessibilità in uscita per i lavori gravosi. Una strada già intrapresa nel 2021 quando è stata stilata una la lista da parte della Commissione governativa guidata da Cesare Damiano.
“ L’unica via per creare un sistema più equo sarebbe quella di una ridistribuzione della spesa pensionistica prevedendo uscite anticipate per i lavori usuranti“.
Nello specifico, col ricorso ad Ape Sociale è possibile di lasciare il lavoro a 63 anni, a patto che siano stati svolti lavori gravosi per almeno la metà della vita lavorativa o negli ultimi 7 anni in via continuativa.
Occorre poi aver maturato almeno 35 anni di anzianità contributiva (32 per edili e ceramisti) . E’ necessario infine verificare che i contributi versati siano effettivi, cioè che diano diritto alla pensione sia nella misura che nel diritto. Non sono conteggiati i contributi versati a titolo figurativo, ad esempio.