Con l’approvazione del relativo Dpcm, il governo di Giorgia Meloni ha scritto nero su bianco che a breve effettuerà un’Offerta Pubblica di Vendita avente ad oggetto il 15% delle azioni Poste Italiane. L’operazione avverrà verosimilmente a partire dal prossimo 21 ottobre. Il Tesoro possiede sinora il 29,26% dell’istituto, mentre un altro 35% appartiene a Cassa depositi e prestiti, che è un ente statale. In tutto, quindi, lo stato controlla il 64,3% del capitale. In precedenza, l’esecutivo aveva valutato la cessione della sua intera partecipazione diretta, così da lasciare nel capitale solamente Cdp con il 35%.
Obiettivo: 20 miliardi in 3 anni da privatizzazioni
Le azioni Poste Italiane guadagnano quest’anno il 20% e portano la capitalizzazione a circa 16,22 miliardi di euro. Questo significa che la quota che verrà ceduta dal Tesoro potrà valere attorno ai 2,30 miliardi. Il governo si è posto l’obiettivo di incassare 20 miliardi nel triennio 2024-2026 dalle privatizzazioni. Ad oggi ne ha raccolti 3 tra Monte Paschi ed Enel. Entro l’anno dovrebbe cedere un’ulteriore partecipazione nella banca toscana, ragione per cui l’intero ammontare per il 2024 potrà aggirarsi sui 6 miliardi.
Offerta anche in digitale e per risparmiatori
L’offerta sarà rivolta per il 70% agli investitori istituzionali e per il restante 30% al pubblico dei risparmiatori. Nel 2016, anno in cui il Tesoro mise in vendita il 35,7% del capitale, il retail dovette accontentarsi del 3%, che fu la quota riservata ai lavoratori dipendenti delle stesse Poste. Altra novità: le prenotazioni delle azioni Poste Italiane potranno avvenire tramite i canali remoti del gruppo, cioè attraverso app o sito PostePay.
Dicevamo, sindacati contrari all’operazione. Essi temono che la privatizzazione porti a una riduzione del loro peso negoziale nei confronti dell’azienda, ormai sempre più una realtà di mercato.
Azioni Poste Italiane quasi nove volte gli utili
Alle attuali quotazioni le azioni Poste Italiane valgono meno di nove volte gli utili. L’esercizio 2023 si è chiuso con un utile netto di 1,92 miliardi, mentre nei primi sei mesi dell’anno questo ammonta già ad oltre 1 miliardo. D’altra parte non c’è una ragione specifica per cui lo stato debba continuare a detenere una partecipazione così spropositata. Altre grandi aziende pubbliche, persino più strategiche, vedono la sua presenza ben al di sotto della maggioranza assoluta. Cionondimeno, il controllo è assicurato.