Non sono passati tanti anni da quando Checco Zalone ci tenne incollati ai maxi-schermi delle sale cinematografiche con una delle sue pellicole più iconiche e di successo. Il titolo del film era Quo Vado e venne proiettato a partire dal Capodanno del 2016. Una parodia sul posto fisso, sul modo di concepire il lavoro in certe aree del profondo Sud, dove la voglia di quiete supera spesso di gran lunga l’ambizione e il desiderio di affermazione personale. Una caricatura voluta, è chiaro.
Posto fisso tira la volata all’occupazione
E’ cambiato molto da quel periodo, non soltanto nel nostro Paese. C’è domanda di sicurezza che si leva trasversalmente alle classi sociali e, soprattutto, la demografia è cambiata e sta stravolgendo il mercato del lavoro. Il posto fisso, che forse non era mai realmente passato di moda, torna preponderante. I dati Istat per febbraio ci dicono che l’occupazione è cresciuta di 351 mila unità in un anno, di 41 mila in un mese. Il suo tasso è risalito al 61,9%, poco sotto il record storico del 62% toccato due mesi prima. In Italia ci sono 23 milioni 773 milioni di persone che lavorano, mai così tante nella nostra storia.
Aumentano le assunzioni stabili
Non solo lavoriamo in più persone, ma è interessante seguire l’evoluzione dei dati. I lavoratori a tempo indeterminato risultano aumentati di 603 mila in un anno, quelli a tempo determinato sono diminuiti di 199 mila e i lavoratori autonomi sono anch’essi scesi di 53 mila.
Dobbiamo intenderci per posto fisso. Se nel film di Zalone se ne rimarcavano i tratti parassitari, noi intendiamo fare riferimento ai contratti a tempo indeterminato, cioè alle assunzioni stabili. Riguardano l’85% dei lavoratori dipendenti. La percentuale superava l’88% una ventina di anni fa, quando iniziarono le serie storiche dell’Istat. Ma in valore assoluto i lavoratori con un contratto permanente da allora sono aumentati di circa 1,8 milioni di unità, incidendo per i due terzi della crescita dell’occupazione dipendente. Parallelamente, si riscontra un tracollo dei lavoratori autonomi: un quinto in meno rispetto al 2004, sotto quota 5 milioni di unità. La loro incidenza sull’occupazione complessiva è scesa al 21% contro il 28% di venti anni fa.
Crollo dei lavoratori autonomi
Cosa ci raccontano questi numeri? Il mercato del lavoro in Italia si va evolvendo nella direzione di creare sempre più opportunità per i dipendenti e offrendo loro l’opportunità di un posto fisso, che non significa “a vita”. E questo, in realtà, risente di una certa “normalizzazione” in corso. L’abnorme peso storicamente dei lavoratori autonomi è stato spesso mitizzato per non coglierne le vere implicazioni. Molti italiani delle generazioni passate si mettevano in proprio certamente per ingegno, per spirito di iniziativa e voglia di fare qualcosa da sé, ma anche per assenza di alternative valide. Il lavoro era mal retribuito o scarseggiava, tanto valeva scommettersi.
Quei mali non sono stati risolti. Al Sud il lavoro resta generalmente sottopagato, spesso in nero e continua a scarseggiare. Tuttavia, il lavoro autonomo non incanta più, almeno non come un tempo. Troppe tasse e margini di guadagno perlopiù non esaltanti.
Malgrado il posto fisso, occupazione molto bassa
I numeri dell’Istat, però, ci dicono che l’Italia non si smuove dal fondo della classifica europea sull’occupazione. La media nell’Eurozona supera il 70%, in Germania si arriva al 76%. Con questi numeri, dovremmo avere non meno di 27 milioni di occupati, 3-3,5 milioni in più di oggi. Posto fisso o meno, restiamo un mercato sottoccupato. Questa è la notizia peggiore. Il trend è positivo, ma ci vorranno tanti anni senza intoppi per giungere alle medie dei paesi sviluppati. I punti deboli restano tre: occupazione femminile (52,8%), giovanile (19,9% tra 15 e 24 anni) e Sud (sotto il 50%).
Senza la piaga del lavoro nero è probabile che saremmo vicini ai numeri medi europei. Ma il lavoro nero esiste in conseguenza della fragilità di certa economia italiana, incapace di emergere e sopravvivere alle leggi del mercato, oltre che a quelle del Parlamento. Ben venga il posto fisso, se la sua ascesa è sintomatica della crescita dell’economia formale, robusta e della riduzione del sommerso con tutte le sue debolezze.