“Ora sono diventati tutti grillini” titolava ieri Il Fatto di Marco Travaglio, il quotidiano che da sempre è stato vicinissimo al Movimento 5 Stelle, di cui viene considerato spesso cassa di risonanza mediatica. L’articolo veniva pubblicato online poco dopo le parole pronunciate da Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, che si diceva “non spaventato” dai vincitori di queste elezioni, chiedendo solo che non si tocchino provvedimenti positivi per la crescita come il Jobs Act e Industria 4.0. E nella mattinata di ieri, un altro industriale di peso, l’ad di Fiat Chrysler, Sergio Marchionne, “sdoganava” Lega e M5S, sostenendo che non ci sarebbe motivo di avere paura e che “abbiamo visto di peggio”.
Perché è stato Draghi ad avere aiuto a vincere il Movimento 5 Stelle
Eppure, Confindustria aveva pronosticato disastri economici se al referendum costituzionale del 2016 avesse vinto il “no”. E solo alla fine di gennaio, aveva avvertito che la ripresa economica sarebbe a rischio, nel caso in cui al governo dovessero arrivarci forze euro-scettiche, disfattiste sulle riforme già varate. Un cambio di linea notevole, che puzza e desta sospetti. Per carità, compito di un lobbista, come lo è Boccia, consiste nel fare in modo che chiunque si trovi al governo abbia a cuore la cura degli interessi della categoria che rappresenta. Nulla di inconsueto in ciò, tant’è che i cosiddetti “poteri forti”, in Italia come all’estero, tendono ad avere un atteggiamento piuttosto conservatore, ovvero poco o affatto incline ai cambiamenti, in quanto questi minacciano legami e pratiche consolidati.
Dietro alle “carezze” di certa stampa e di un pezzo di industria ai 5 Stelle potrebbe celarsi anche il tentativo di addomesticarli, di renderli istituzionali e, quindi, non più così pericolosi per gli interessi rappresentati. Lo abbiamo visto anche negli USA con Donald Trump, temuto e osteggiato apertamente dal mondo economico e finanziario fino alla sera delle elezioni presidenziali e osannato dallo stesso qualche ora dopo, quando clamorosamente si è assistito alla sua inattesa vittoria.
Lo spettro della Troika
Tuttavia, il caso italiano potrebbe prestarsi a una ulteriore interpretazione. Questo improvviso quasi innamoramento verso i grillini nasconderebbe grosse insidie, dalle quali sarebbe bene che Luigi Di Maio si guardasse prima di accettare un eventuale incarico, se gli fosse conferito dal presidente Sergio Mattarella. I soliti poteri forti, che tanto forti hanno dimostrato di non essere, essendo stati battuti e sconfessati a ogni occasione utile alle urne, potrebbero essersi convinti che la resistenza alla marea “populista” sia una strategia perdente. Se ci mettiamo nei panni della finanza e della decadente industria nazionale, negli ultimi tempi le hanno provate tutte: nel 2011 appoggiando con applausi a scena aperta il governo Monti, nel 2013 con le larghe intese, nel 2014 con Matteo Renzi, nel 2016 con Paolo Gentiloni, tutti considerati utili alla causa, ossia la difesa di un establishment squattrinato, che per continuare a vivacchiare ha bisogno di essere salvaguardato dal capitalismo internazionale da un lato e di restare pienamente ancorato a un’Europa dei commissari, che è quella che detta le regole anche per noi. Uno scontro con Bruxelles e Berlino sarebbe rovinoso per quanti si sentano tutelati dalla gonnella di Frau Merkel e dai burocrati europei.
E allora, tanto meglio spalancare le porte ai grillini, che privi di una loro ideologia (a differenza di una Lega di Matteo Salvini dall’identità decisa) potranno essere plasmati a convenienza. Nel caso in cui l’istituzionalizzazione del Movimento 5 Stelle non fosse possibile, nessun timore: arriva la Troika. Sì, perché nessuno tra un Boccia e un Mattarella pensa realisticamente che un eventuale governo pentastellato potrà realizzare anche solo parte del programma, dal reddito di cittadinanza alla flessibilità fiscale pretesa da Bruxelles.
Troika più vicina all’Italia, così l’Europa ci commissaria dopo le elezioni
Monti, contrariamente a quanto è stato percepito, non rappresentò la Troika in Italia, bensì il tentativo di risolvere i mali storici dell’Italia per via interna e con la benedizione, s’intende, dei componenti della Troika stessa, cioè UE, BCE e Fondo Monetario Internazionale. Ma dopo che tutte le soluzioni politiche, anche quelle sinora impensabili, saranno fallite, non resterebbe che affidarsi a una soluzione esterna, che prenderebbe le sembianze di un ennesimo governo tecnico, sostenuto da chi ci sta in Parlamento (e con l’arma di ricatto della finanza), composto da esponenti individuati con precisione da Bruxelles e che risponderebbero al protocollo d’intesa firmato verosimilmente con l’ESM, il Fondo di stabilità permanente, il quale fungerebbe da prestatore di ultima istanza e si sostituirebbe all’FMI nel provvedere al salvataggio sovrano.
La Seconda Repubblica non si rassegnerà a morire così presto
Senza nemmeno immaginare uno scenario così estremo, l’establishment è altresì consapevole che l’Italia avrà momenti difficili nei prossimi mesi e anni, tra rendimenti in crescita dei titoli di stato, risanamento dei conti pubblici da completare, un rafforzamento atteso dell’euro e un aumento delle quotazioni delle materie prime, tra cui il petrolio. La già bassa crescita italiana potrebbe cedere il passo alla stagnazione, venendo meno tutte le condizioni esterne propizie sin qui materializzatesi (e occhio alla possibile “guerra” dei dazi tra USA e UE, dato che l’economia italiana è la seconda esportatrice in Europa dopo la Germania), mentre il Tesoro dovrebbe racimolare più di 1.000 miliardi di euro in 5 anni di debito pubblico in scadenza, pagando interessi più alti, che graverebbero sul deficit, potenzialmente destabilizzandolo.
Debito pubblico, i 1.000 miliardi che aspettano il nuovo premier
Non ci sarà spazio per ricette demagogiche.