L’accordo tra USA e sauditi
Il sistema saltò, perché gli alti deficit fiscali dell’America, impegnata nella costosa operazione bellica in Vietnam, unitamente ai crescenti surplus commerciali di Germania e Giappone (la storia si ripete!) resero non più certo per gli USA di potere convertire su richiesta delle altre banche centrali i dollari in oro.
Ma adesso arriva la seconda parte della storia e che ha creato decenni di benefici per gli americani. Preso atto del crollo di un sistema, Nixon inviò il suo segretario di Stato, Henry Kissinger, a Riad, dove stipulò un patto con l’allora Re Faisal, in base al quale i sauditi avrebbero accettato di essere pagati solo in dollari per le loro esportazioni di petrolio, mentre gli americani s’impegnavano in cambio a proteggere militarmente il regno, di fatto controllando l’intero scacchiere mediorientale.
Nasce il sistema dei petrodollari
Nacque, quindi, il “petrodollar system”, tutt’oggi funzionante. Poiché i sauditi erano e sono ancora leader del mercato mondiale del petrolio, gli altri concorrenti seguirono le sue orme e sostanzialmente oggi risulta quasi impossibile acquistare greggio dall’estero in una valuta diversa dal dollaro. Ora, che implicazioni ha un simile sistema per l’economia americana e del resto del pianeta?
Quest’anno, stando ai dati dell’Agenzia energetica internazionale, il mondo consumerà la media di circa 98 milioni di barili al giorno. Parte rilevante di questa domanda si ha in paesi con la necessità di importare greggio dall’estero, non disponendone di proprio o non a sufficienza. Nel 2015, il valore delle esportazioni complessive nel mondo di petrolio è stato di quasi 800 miliardi di dollari. E pensare che solamente un anno prima, il prezzo del Brent era stato mediamente il doppio, arrivando a 115 dollari al barile. (Leggi anche: Guerra sanzioni USA-Russia, che succede se l’Asia attacca i petrodollari?)