Il 2024 sarà ricordato probabilmente come l’anno in cui sono saltati molti schemi. Se era impensabile che persino la stabilissima Germania vivesse una sua crisi politica grave e senza precedenti dal 1949, la stessa sorte sta lambendo un’altra nazione apparentemente poco incline all’instabilità: il Canada. Dopo nove anni abbondanti alla guida del governo, la posizione del premier Justin Trudeau si è fatta più delicata che mai. Il suo vice e ministro delle Finanze, Chrystia Freeland, si è dimessa in polemica proprio con il suo capo.
Trudeau ed ex ministro divisi da risposta a Trump
Nelle scorse settimane, Trudeau era volato a Mar-à-Lago, in Florida, per incontrare proprio Trump nel tentativo di appianare le divergenze ed evitare i dazi o almeno minimizzarne l’impatto. La posizione di Freeland, agguerrita politica anti-trumpiana, è stata sempre di opposizione a un negoziato. L’ex ministro puntava a consolidare il più possibile la condizione fiscale del Canada, così da disporre di risorse per reagire agli eventuali dazi americani. Al suo posto è stato nominato Dominique LeBlanc, già ministro alla Sicurezza Pubblica e amico d’infanzia del premier. Non a caso Trump ha dichiarato sul suo social Truth che l’ex ministro “non mancherà” e che ha osteggiato l’idea di un accordo con Washington, malgrado i vantaggi che esso avrebbe per “i cittadini canadesi molto infelici”. Trudeau aveva reagito alla posizione di Freeland, notando che il modo più appropriato sarebbe di giungere a un’intesa. Le aveva già comunicato di non volerla più come top advisor sull’economia.
Le dimissioni di Freeland sono arrivate nelle stesse ore in cui i dati sul deficit indicavano un “buco” nel bilancio dello stato ben superiore alle attese: dai 40 miliardi di dollari canadesi stimati (circa 26,7 miliardi di euro) a 60 miliardi (40 miliardi di euro).
Crescente impopolarità tra immigrazione incontrollata e carovita
C’è la sensazione che il premier voglia allentare il rigore sui conti pubblici per cercare di contrastare la sua crescente impopolarità. Secondo un sondaggio, nel giugno scorso solamente il 28% dei cittadini lo sosteneva. Il suo Partito Liberale raccoglierebbe oggi un pessimo 22% contro il 43% del Partito Conservatore all’opposizione. Le ragioni di questo tracollo elettorale sono duplici. In primis, il costo della vita esploso negli ultimi anni. Una situazione che è stata vissuta da molte altre economie occidentali, tra cui Stati Uniti ed Europa.
Ma c’è anche grossa insoddisfazione per la politica sull’immigrazione. Trudeau ha spalancato le porte a milioni di cittadini stranieri e adesso cerca di porre rimedio a una crisi della sicurezza che egli stesso ha provocato. E’ stato sin dal 2015 il simbolo della sinistra “global” e “woke”, spesso attirandosi le ironie degli oppositori dentro e fuori dal Canada.
Fronda interna chiede le dimissioni
Ora che è diventato impopolarissimo in patria, lo stanno mollando anche gli alleati. Cinque deputati del suo stesso partito ne hanno chiesto le dimissioni, così come il leader di NPD, un partito di sinistra uscito dal governo nei mesi scorsi e che non ha ad oggi votato la sfiducia. Jagmeet Singh ha dichiarato che il premier dovrebbe andarsene. Naturale che anche il leader dell’opposizione Pierre Poilievre invochi le elezioni anticipate, che stando ai sondaggi vincerebbe a mani basse.
Il Canada ha un debito schizzato al 107,5% del Pil nel 2023.
Trudeau politicamente spacciato
Luci e ombre sull’operato di Trudeau al governo, che paga più che altro alcune scelte ideologiche che lo hanno allontanato dal sentire comune. Le elezioni sono in programma per l’ottobre del 2025, ma potrebbero essere anticipate. In alternativa, il premier può dimettersi da leader del partito e aprire la strada a un successore per rafforzarne l’immagine da qui al voto. Il diretto interessato nega, ma l’era Trudeau è nei fatti volta al termine, accelerata probabilmente dall’elezione di Trump.