Prima che il vicepresidente James David Vance arrivi in Italia a ridosso di Pasqua, la premier Giorgia Meloni vuole volare a Washington per incontrare il presidente Donald Trump. Oggetto della discussione: i dazi, naturalmente! Alla Casa Bianca lo staff del tycoon sarebbe già in contatto dallo scorso fine settimana con Palazzo Chigi per fissare un’eventuale data. L’aspetto politicamente saliente del possibile faccia a faccia sta nel fatto che avverrebbe con la benedizione dell’Unione Europea e non contro il suo volere, come cercano di polemizzare dalla Francia. Il commissario al Commercio, Maros Sefcovic, è stato chiaro al riguardo: “chi ha il numero di Trump, in questo momento lo usi per chiamargli”.
Commissione favorevole ad approccio bilaterale
Le trattative sui dazi non possono essere bilaterali, perché la materia è di competenza della Commissione. Ma se la premier Meloni incontrerà Trump, lo farà all’interno di un dialogo non solo tra USA e Italia, bensì tra i primi e l’intera UE. Chiaramente, non potrà tornare da Washington con un accordo firmato in tasca. La sua visita servirà a stendere gli animi. La posizione dell’Italia per la prudenza nella reazione ai dazi annunciati dagli USA è quella che sta prevalendo in questi giorni. Prova ne è che il presidente Emmanuel Macron si agita nel tentativo di mostrare il volto duro, imponendo contro-dazi immediati sulle merci americane. Non gradisce che l’Italia possa avere un ruolo da protagonista nella trattativa, che egli vorrebbe riservare per sé.
La stessa Germania non è convinta della posizione dura, in tal senso mostrando di condividere la linea di Roma.
La presidente Ursula von der Leyen ha espresso l’intenzione di intavolare un negoziato e persino di azzerare i dazi su alcune merci importate dagli USA. Al contrario, Parigi minaccia l’uso dello Strumento di coercizione, una sorta di reazione giuridica meno potente dei contro-dazi, ma che avvelenerebbe il clima tra le due sponde dell’Atlantico. Accusa sottotraccia l’Italia di bloccarne l’adozione con la formazione di una minoranza di blocco nell’area, ma da Palazzo Chigi replicano che di questa misura non se n’è mai parlato e che a volerla sarebbero solo i francesi.
Dazi selettivi o dimezzamento dal 20%
La linea di apertura al dialogo della premier Meloni è stata naturalmente accolta favorevolmente dalle parti di Trump. Il suo emissario Elon Musk è arrivato ad auspicare l’azzeramento dei dazi tra USA e UE. Lo ha fatto nel corso di un collegamento video al congresso della Lega. Una posizione non condivisa da Peter Navarro, che è il consigliere economico del presidente e che il miliardario a capo di X ha attaccato duramente, sostenendo che non sarebbe cosa buona avere un laureato di Harvard ad occuparsi di economia.
L’idea minima di Meloni sarebbe di convincere Trump a dimezzare al 10% il dazio sulle merci europee. Il successo pieno, specie dal punto di vista dell’Italia, si avrebbe nel caso in cui riuscisse ad escludere alcune categorie merceologiche dalla lista.
E qui entra in gioco il Made in Italy, cioè la filiera agroalimentare e il lusso. Sul punto i contrasti tra stati comunitari saranno verosimilmente feroci. Ciascuno mirerà a far spuntare dalla lista i beni che esporta. Alla fine non sarà possibile accontentare tutti, la differenza la farà forse la vicinanza politica agli USA in questa fase. Ecco perché Roma tiene i toni bassi e punta a mediare tra i due continenti.
Meloni da Trump, quali carte?
L’ideale sarebbe che Meloni riuscisse nell’impresa di spingere Trump a trattare per l’azzeramento dei dazi in cambio di altro. Cosa? Ci sono diversi capitoli da discutere. Non solo il riarmo europeo, che a Washington invocano per ridurre il loro sostegno militare al Vecchio Continente. C’è la guerra tra Russia e Ucraina a tenere banco, così come l’accordo commerciale transatlantico (TTIP), respinto nel decennio passato per l’opposizione della Francia. Esso consentirebbe l’abbattimento delle barriere tariffarie e non. La Casa Bianca ci punta per sperare di aumentare le esportazioni verso l’Europa, specie agricole. Le resistenze corporative restano forti, ma dinnanzi al rischio di una chiusura commerciale è probabile che si affievoliranno o che risulteranno meno efficaci sul piano politico.
giuseppe.timpone@investireoggi.it