La riforma della Costituzione è da sempre agognata dal centro-destra, che punta alla stabilità politico-istituzionale. La durata di un governo non è secondaria nell’implementare il programma di una maggioranza parlamentare e, soprattutto, nel garantire l’affidabilità del sistema Italia in patria e all’estero. Per questo l’esecutivo ha messo a punto una proposta sul cosiddetto “premierato”. E’ stata una sorta di sintesi tra i partiti della maggioranza, che intende finalmente portare a casa il risultato dopo avere rinunciato alla proposta originaria del presidenzialismo.
Punti deboli del premierato
Il premierato à la Meloni si può così sintetizzare: il capo del governo è eletto direttamente dai cittadini. Può essere sostituito solo una volta nel corso della legislatura, purché il successore sia un parlamentare. Può provenire anche da un partito che non abbia fatto fino ad allora parte della maggioranza parlamentare, a patto che accetti di dare esecuzione al programma di governo “stipulato” con gli elettori. La norma anti-ribaltone inizialmente prevedeva l’assegnazione dell’incarico soltanto a un altro parlamentare della medesima maggioranza.
Questa proposta si mostra lacunosa in più punti. Per prima cosa, ingessa il dibattito interno ai partiti e alle maggioranze di governo. Perché mai a poter sostituire un premier eletto può essere soltanto un parlamentare e, soprattutto, che aderisca al medesimo programma? Si tratta evidentemente di una norma contro i governi tecnici, ma che ha scarso senso. Se un esecutivo cade, evidentemente vi è un fallimento alla base che potrebbe riguardare lo stesso programma. La Costituzione finirebbe per obbligare a darne ugualmente esecuzione.
Serve legge elettorale seria
Ma poi, il programma di un governo non è e non può essere un documento giuridico come fosse un contratto dal notaio. E’ stata una mossa propagandistica geniale dell’allora candidato Silvio Berlusconi quella di siglare il famoso “patto con gli italiani” nel salotto di Bruno Vespa.
Il premierato è una buona idea laddove punterebbe ad assegnare maggiori poteri a chi guida il governo. Non sembra che la riforma proposta dal centro-destra vada in questa direzione. La litigiosità tra i partiti, che da sempre ha limitato la durata di vita di un governo, non viene meno per effetto di una riforma costituzionale. Serve una riforma elettorale efficace ed efficiente, che riduca il numero dei partiti presenti in Parlamento e rafforzi il legame con i cittadini nei collegi. Che si tratti di una legge proporzionale con sbarramento al 4-5% o una legge maggioritaria, l’importante è che non si perpetuino inefficienze legate alla necessità di trovare continui punti d’intesa con piccole liste determinanti in Parlamento e che ricattano le maggioranze uscenti.
Presidenzialismo riforma più efficace
Il premierato in stile meloniano difficilmente farebbe dell’Italia un’altra Francia sul piano della stabilità istituzionale. La proposta storica di Fratelli d’Italia e del resto del centro-destra era stata fino a qualche mese fa il (semi)presidenzialismo. Capo dello stato eletto dai cittadini e inamovibile per l’intero mandato. Di fatto, la nuova figura di riferimento in Italia e all’estero. La durata dei governi stessi passerebbe in secondo piano, perché sarebbe il Quirinale il dominus della situazione e non più il drappello di turno di transfughi parlamentari.
Anche il presidenzialismo può generare situazioni indesiderate. Le “coabitazioni” in Francia hanno segnalato i rischi di avere un capo dello stato di colore politico diverso dalla maggioranza parlamentare. Succede anche negli Stati Uniti, dove lo scontro tra Casa Bianca e Congresso sale spesso oltre il dovuto. Ma la stabilità viene preservata, specie se la figura del presidente coincide con quella del premier come a Washington. Da primo capo di governo di destra Meloni avrebbe dovuto mostrare maggiore coraggio nel presentare una riforma più nelle corde della sua stessa maggioranza.
Referendum costituzionale quasi certamente inevitabile
Palazzo Chigi nutre la speranza di far approvare in Parlamento un testo non divisivo e condiviso con le opposizioni. Comprensibilissimo dopo quaranta anni di continui flop in tal senso. Allarme spoiler: non avverrà neppure questa volta. Il referendum costituzionale non sarà evitato, perché quasi certamente non ci saranno i due terzi dei parlamentari in seconda lettura ad approvare la riforma. E dal momento che si dovrà ottenere il consenso degli italiani, meglio presentarsi al loro cospetto con un testo chiaro, che tocchi le corde di chi questo governo lo ha votato un anno fa. Il premierato sarebbe una soluzione pasticciata che in pochi capirebbero. E non risolverebbe il problema della storica instabilità dei governi a Roma.