Da poco più di un anno (esattamente a partire dal 1° gennaio 2024), l’ordinamento tributario italiano ha previsto importanti aggiornamenti in materia di residenza fiscale, ridefinendo i criteri che determinano l’assoggettamento al fisco italiano per persone fisiche, sia residenti nel territorio nazionale che all’estero.
Si tratta di modifiche che vanno a incidere in modo significativo sulle posizioni di molti contribuenti. Soprattutto coloro che vivono o lavorano fuori dall’Italia ma mantengono legami con il Paese.
Queste novità derivano da un intervento normativo sul Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), con l’obiettivo di chiarire alcune zone d’ombra interpretative e adeguare la normativa ai nuovi scenari della mobilità internazionale e del lavoro da remoto.
Il criterio di presenza fisica per la residenza fiscale
Al centro della riformulazione normativa c’è l’introduzione di un criterio che attribuisce un peso determinante alla presenza fisica sul territorio italiano. Ai fini delle imposte sui redditi, infatti, si considerano fiscalmente essere residenti coloro che, per la maggior parte del periodo d’imposta – e cioè per almeno 183 giorni – risultano presenti in Italia (nessuna novità al riguardo), anche se tale presenza è frammentata e non continuativa. In questo calcolo sono comprese anche le frazioni di giorno, rendendo il criterio particolarmente rigoroso.
Questa impostazione supera la precedente impostazione che si basava principalmente anche su aspetti formali come l’iscrizione anagrafica o la dichiarazione di residenza. Ora, la permanenza effettiva sul territorio nazionale diventa l’elemento cardine per stabilire la residenza fiscale .
Residenza, domicilio e relazioni personali
La normativa aggiornata non si limita a introdurre il concetto di presenza fisica, ma rielabora anche il significato di “domicilio”.
Inteso non più solo come sede principale degli affari o interessi economici, ma piuttosto come il luogo in cui si concentrano le relazioni affettive e familiari più rilevanti.
Questa nuova definizione amplia il perimetro interpretativo e può portare a ritenere fiscalmente residente in Italia anche chi, pur vivendo in un altro Paese, mantiene qui i propri legami personali più forti. In altre parole, la residenza fiscale può essere riconosciuta anche in assenza di un’abitazione permanente, se le relazioni personali e familiari risultano prevalentemente radicate in Italia.
Presunzione di residenza per gli iscritti all’anagrafe
Un altro elemento importante introdotto è la presunzione automatica di residenza fiscale per coloro che risultano iscritti per più di metà anno nelle anagrafi della popolazione residente. Tale presunzione vale anche per chi si è trasferito all’estero e non ha provveduto a registrarsi all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero), rendendo più stringenti le condizioni per essere considerati effettivamente non residenti.
Anche chi è formalmente iscritto all’AIRE, ma trascorre in Italia più di 183 giorni o conserva qui il proprio centro degli interessi personali, rischiando di vedersi attribuire la residenza fiscale italiana, con tutte le conseguenze tributarie del caso.
Residenza fiscale in Italia o all’estero? La prova a carico del contributore
La formulazione comporta l’onere probatorio. In caso di accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate, spetta al contribuente dimostrare con elementi concreti l’effettiva residenza all’estero.
Anche qualora questa sia riconosciuta dallo Stato straniero di riferimento. La semplice cancellazione dall’anagrafe italiana o il possesso di un permesso di soggiorno estero non bastano più a escludere automaticamente la residenza fiscale in Italia.
Questo aspetto assume particolare rilevanza nei confronti dei cosiddetti “residenti fittizi”. Cioè coloro che si trasferiscono formalmente in Paesi con fiscalità agevolata senza modificare sostanzialmente il proprio stile di vita e le relazioni familiari. O anche la presenza fisica prevalente sul territorio italiano.
Residenza fiscale in caso di smart working
Una delle implicazioni più attuali di questo aggiornamento riguarda anche la residenza fiscale per chi lavora da remoto. Con la diffusione dello smart working, sempre più persone svolgono la propria attività lavorativa “da casa”. Che in molti casi si trova in Italia, pur mantenendo formalmente rapporti professionali con aziende estere.
In base alle disposizioni attuali, anche chi lavora in modalità agile per un datore di lavoro straniero, ma svolge la propria attività dalla propria abitazione in Italia per la maggior parte dell’anno, sarà considerato fiscalmente residente in Italia. Non è necessario, dunque, l’adempimento formale dell’iscrizione anagrafica per essere considerati tali. Conta dove si vive e si lavora nella sostanza, non dove si dichiara di essere residenti.
Riassumendo
- Dal 2024 la residenza fiscale si basa principalmente sulla presenza fisica in Italia.
- Chi trascorre oltre 183 giorni in Italia è considerato fiscalmente residente.
- Il domicilio è definito dai legami personali e familiari prevalenti.
- Iscrizione all’anagrafe italiana implica una presunzione di residenza fiscale.
- Lavorare in smart working dall’Italia comporta residenza fiscale italiana.
Buongiorno
Ipotizziamo il seguente scenario (per semplicità anno di 365 giorni) con particolare riferimento alla presenza fisica e fermo restando tutti gli altri elementi che concorrono a stabilire in quale paese si è soggetti a imposizione:
Cittadino italiano (pensionato ) residente in Tunisia dove sono pagate le tasse
– Presenza in Italia 175 gg
– Presenza in Tunisia (residente) 170 gg
– Presenza in altro paese UE es: Gran Bretagna 20 gg
Con i nuovi criteri dove è riconosciuta la residenza fiscale? Grazie
Italia
Buongiorno,
con 184 giorni in Albania e rimanenti in italia ove si è residenti?
Grazie.
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