Pressione fiscale: lavoratori autonomi spremuti dal fisco

Stipendi bassi e pressione fiscale alle stelle. Dati alla mano vi raccontiamo la storia di 3 agrumi: i dipendenti, gli autonomi e le piccole imprese. Le tante leggi e tasse hanno creato tre tipi di spremuta diversa, ma dallo stesso sapore inconfondibile: quello del portafoglio vuoto
13 anni fa
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Il quadro della situazione relativa alla pressione fiscale in Italia è stato delineato da uno studio della fondazione commercialisti italiani: In Italia su 100 euro di ricavi in media 45 euro sono destinati allo Stato con punte del 62 per cento per chi svolge attività di lavoratore autonomo.

Solo pochi giorni fa arrivava la conferma, da parte dell’Ocse, di un potere d’acquisto ridotto all’osso, a causa della azione combinata tra la forte pressione fiscale e i salari al di sotto della media europea.

In particolare l’Italia si piazzava al sesto posto in materia di pressione fiscale con un livello del 47,6 per cento, molto al di sopra della media europea ( pari a 35,3 per cento).  Gli effetti di tale livello di tassazione  devono essere combinati anche a livelli di stipendi italiani particolarmente bassi, addirittura inferiori a quelli spagnoli  e greci.

 

Pressione contributiva …e alla fine in mano resta ben poco

Il quadro risulta davvero problematico se tali dati tengono conto oltre che delle imposte anche dei contributi da versare, che riducono notevolmente il potere di acquisto dei cittadini. Occorre innanzitutto stabilire quale sia la reale incidenza della tassazione per ogni categoria di lavoratore, superando il concetto di tassazione media, in quanto da tale analisi si potrebbero avere notevoli disparità tra i vari settori.

 

Contributi lavoratori dipendenti: -30% in busta paga

Iniziamo la disamina partendo da un lavoratore dipendente che guadagna circa 30 mila euro annui. Tenuto conto delle tasse ( Irpef, addizionale regionale, comunale, ecc.) e dei contribuenti previdenziali ( pari a 2.757,00 euro annui) il contribuente si troverà in tasca il 30 per cento i meno ( per un netto in busta paga pari a € 21.012,00). Va peggio per un imprenditore individuale, sempre con reddito di 30 mila euro annui, che si vede tassato il proprio guadagno per il 53 per cento. Tenuto conto anche dei costi parzialmente o totalmente indeducibili,  alla fine nelle tasche del lavoratore rimangono appena € 14.084,00.

Il grosso del reddito dell’imprenditore finisce in tasse ( che tra Irap, Irpef ed addizionali superano abbondantemente i 7.000 euro annui) ma anche ai fini previdenziali il contribuente dovrà versare circa 6.653.00,00.

 

Contributi lavoratori autonomi: -59% in busta paga

Tuttavia il lavoratore messo peggio risulta essere un lavoratore autonomo senza cassa iscritto alla gestione separata Inps.  In questo caso il contribuente verserà nelle casse erariali e previdenziali circa il 59 per cento se guadagna un reddito pari a 30 mila euro annui, mentre la pressione sale a circa il 62 per cento se i guadagni superano quota 50 mila euro.  Inoltre a tale quota occorrerà sommare anche i tributi locali (imposta municipale, ecc.) ed anche i tributi indiretti di difficile quantificazione (come le accise sulla benzina).

 

Tassazione srl: ma in Italia conviene fare gli imprenditori?

Non se la passano bene neanche le imprese organizzate in forma collettiva, in particolare modo la società a responsabilità limitata. Supponendo anche qui un utile civilistico di 30 mila euro e costi indeducibili del 10,27 per cento (spese telefoniche, di rappresentanza, autovetture, ecc.) alla fine in tasca ai vari soci rimarranno 19.700,00 euro ( pressione fiscale pari al 38,71 per cento). La pressione fiscale scende a 37,41 per cento se il reddito della società è circa 50 mila euro.

Anche qui la simulazione è stata fatta basandosi su di un’impresa con presenza di costi per dipendenti di circa 20 mila euro, con aliquota base Irap ( del 3,9 per cento), e con la presenza di altri tributi, come tassa di vidimazione annuale, bolli, imposte sulle aperture di credito, tasse sui cellulari e diritti camerali annuali. Tuttavia per calcolare in modo più corretto la tassazione si dovrebbe tenere conto anche delle imposte pagate in sede di distribuzione di utili, pari al 49,72 per cento dell’utile se il socio detiene partecipazioni qualificati, o pari ad una ritenuta d’imposta ( si è passati dal 12,5 per cento all’attuale 20 per cento) se il socio è non qualificato.