Avete presente l’Isee, l’indicatore sintetico della condizione economica del nucleo familiare? In teoria, nasce con la giustissima necessità di convogliare le risorse pubbliche sui contribuenti che ne abbiano realmente bisogno, evitando di erogare servizi e prestazioni assistenziali vari a chi non ne avrebbe diritto, sulla base della propria posizione economico-finanziaria.
Nell’Isee bisogna inserire anche la giacenza media giornaliera sul conto corrente di ogni componente del nucleo familiare. Ciò, al fine di verificare quanti soldi abbia accreditati effettivamente nell’anno ciascun titolare, evitando le distorsioni possibili fino a qualche anno fa, quando teoricamente bastava svuotare il conto corrente a pochi giorni dalla fine dell’anno per mostrarsi relativamente “poveri” agli occhi dello stato.
Tuttavia, sono diverse le incongruenze riscontrate anche con la nuova legislazione. Una di queste riguarda il conteggio dei prestiti. Immagina di richiedere un finanziamento a una banca. Questo ti sarà accreditato sul conto corrente nella maggior parte dei casi, cosa che ne farà lievitare, almeno temporaneamente, la giacenza.
Reddito Isee, prestiti contano come patrimonio
Ebbene, sarebbe ragionevole che lo stato non considerasse tale accredito tra il patrimonio mobiliare del contribuente-dichiarante, in quanto rappresenta per quest’ultimo una passività, non un attivo patrimoniale. Si tratta, cioè, di un debito. Invece, ai fini Isee sarà conteggiato perfettamente come qualsiasi altra entrata in denaro sul conto bancario, con la conseguenza che aumenterà la giacenza media giornaliera dell’anno considerato e al limite potrebbe persino determinare l’esclusione del titolare dal godimento di eventuali benefici assistenziali.
Un’ingiustizia bell’e buona, ma che evidentemente non scuote il legislatore. L’unica passività concessa in detrazione dal patrimonio del contribuente ai fini Isee resta, infatti, il mutuo ipotecario, quello per l’acquisto di un immobile. Vero è, a parziale compensazione dell’obbrobrio normativo di cui sopra, che lo stato riconosce una franchigia di 6.000 euro, aumentabile di 2.000 euro per ogni componente del nucleo familiare superiore al primo e di 1.000 euro a partire dal terzo figlio (incluso).