Prestiti internazionali ai paesi a rischio default, perché e come Macron vuole riscrivere Bretton Woods

Una cinquantina di capi di stato e di governo s'incontrano a Parigi per discutere la riforma delle regole sui prestiti internazionali ai paesi a rischio default.
2 anni fa
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Verso nuove regole sui prestiti internazionali?

Il mondo cambia in fretta e anche l’Europa è costretta a prenderne atto. Questa settimana, una cinquantina di capi di stato e di governo si riunirà a Parigi. Il presidente francese Emmanuel Macron ha voluto convocarli per discutere della riforma, a suo avviso più che necessaria, delle regole sui prestiti internazionali. Due gli obiettivi dichiarati: sostenere i paesi in via di sviluppo a lottare contro la povertà e aiutarli anche a contrastare i cambiamenti climatici. Il summit è molto atteso tra le economie emergenti, specie africane.

D’altra parte, rischia di essere l’ennesimo incontro inconcludente. I paesi ricchi si erano già impegnati a stanziare 100 miliardi di dollari all’anno a favore del taglio delle emissioni inquinanti nei paesi in via di sviluppo. Un impegno rimasto lettera morta.

Come sappiamo, oggi la premier italiana Giorgia Meloni incontrerà Macron per fare il punto su numerosi dossier. Tra questi spiccano la candidatura di Roma per Expo 2030 e la comunanza di vedute sulla riforma del Patto di stabilità. Esistono possibili fonti di tensione come il caso TIM, con la francese Vivendi a rifiutarsi di avallare la cessione della rete. Ma la riforma dei prestiti internazionali è qualcosa che riguarda da vicino l’Italia. Non perché (per fortuna) siamo direttamente interessati alla questione, quanto per il fatto di essere geograficamente confinanti con diversi debitori. Da settimane la premier fa da mediatrice tra Tunisia e Unione Europea/Fondo Monetario Internazionale per sbloccare gli aiuti in favore dello stato nordafricano.

Fuga dal Washington Consensus

Il tema è serio. Oggi ci sono 52 paesi in via di sviluppo ad essere o in default o in una condizione di stress finanziario. I problemi esistevano anche prima della pandemia, ma tra restrizioni anti-Covid e conseguenze legate alla guerra russo-ucraina molti debiti non sono stati onorati. A Bretton Woods nel 1944 i paesi che avrebbero fatto parte del blocco occidentale – a cui si aggiunse in seguito la Germania Ovest – fondarono due organismi finanziari a tutela dei commerci e della finanza: Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale.

Entrambi sono insidiati in misura crescente dall’ascesa dei BRICS.

Dagli anni Ottanta, i due istituti offrono prestiti agli stati in emergenza finanziaria o che necessitano di capitali esterni per svilupparsi. Solo che queste erogazioni giustamente avvengono dietro la realizzazione di riforme macroeconomiche. L’intento è duplice: rendere finalmente sostenibili i debiti dei paesi assistiti ed evitare nuove crisi fiscali future; porre le basi per permettere all’economia di svilupparsi. Il famoso “Washington Consensus” consta di cinque punti irrinunciabili:

  • stretta monetaria (aumento dei tassi d’interesse);
  • stretta fiscale (aumento delle tasse e/o tagli alla spesa pubblica);
  • svalutazione del cambio prima di fissare una parità sostenibile con il dollaro;
  • liberalizzazione commerciale (abbattimento delle barriere doganali e non);
  • liberalizzazione finanziaria (libera circolazione dei capitali).

La Cina allunga le mani ovunque

Queste misure risultano politicamente impopolari. Tant’è che sono frequenti i governi a rifiutarsi di adottarle, rinunciando ai prestiti internazionali. E’ il caso della Tunisia di questi mesi. Il presidente Kais Saied non sta accettando le condizioni richieste dal Fondo Monetario e ha apertamente “minacciato” l’Occidente che si rivolgerà eventualmente alla Cina per trovare un’alternativa. Ed ecco arrivati alla vera motivazione del vertice parigino. La Cina sta in misura crescente affiancando e finanche rimpiazzando le istituzioni nate da Bretton Woods nell’erogazione dei prestiti internazionali.

Negli ultimi dieci anni, ha prestato in emergenza 240 miliardi di dollari. Solamente nel 2021 ha erogato 40,5 miliardi contro i 68,9 miliardi del Fondo Monetario. In tutto, sono 900 miliardi i prestiti concessi a 151 paesi. In media, vi applica un tasso del 5% contro il 2% del Fondo Monetario. A differenza di quest’ultimo, però, non richiede riforme economiche. A Pechino interessa soltanto ricevere indietro il denaro prestato.

Nel frattempo, assoggetta i paesi finanziati a una subordinazione politica, economica e commerciale a proprio vantaggio. In effetti, molti paesi africani stanno sempre più spalancando le porte agli investimenti cinesi in mercati strategici come le infrastrutture.

Per la prima volta, quindi, i paesi in via di sviluppo hanno la possibilità di scegliere da chi ricevere i prestiti internazionali. Oltre a quelli erogati per via bilaterale, bisogna considerare la Nuova Banca per lo Sviluppo. Si tratta di un ente creato dai BRICS, il blocco geopolitico che ruota attorno ad economie emergenti come Cina, Russia, Brasile, India e Sudafrica. Questa condizione riduce il potere politico delle istituzioni finanziarie dell’Occidente. Macron invoca una riforma per evitare di perdere l’influenza che Nord America ed Europa riescono ancora oggi ad avere in Asia, Africa e Sud America a colpi di dollari. Quale? Non è dato sapere per il momento. L’idea di base sarebbe di allentare le condizionalità imposte in cambio dei prestiti internazionali.

Prestiti internazionali, BRICS alternativa all’Occidente

Tuttavia, questa riforma à la Macron rischia di non vedere mai la luce. Il “Washington Consensus” si rivela determinante per la politica di Fondo Monetario e Banca Mondiale. Senza, questi due organismi diverrebbero semplici banche, prestatori di ultima istanza quasi automatici. Verrebbe meno il loro ruolo “ideologico” e teso a far attecchire all’infuori dell’Occidente il modello economico improntato al libero mercato. D’altra parte, è pur vero che esistono ormai fin troppi paesi a sfuggire alla sfera d’influenza dell’Occidente e che rischiano di gettarsi definitivamente tra le braccia di Cina e alleati.

Prendete il Libano. Da anni versa in quella che la Banca Mondiale ha definito “una delle peggiori crisi di sempre”. Beirut non accetta i prestiti internazionali del Fondo, rifiutandosi di siglarne le condizioni. Sul piano geopolitico si tratta di uno stato “vassallo” di Iran e Siria. Con il riavvicinamento tra Arabia Saudita e Iran, però, gli schemi tradizionali possono saltare.

Il regno possiede un fondo sovrano di almeno 620 miliardi di dollari. Potrebbe mettere a disposizione di stati vicini e lontani parte di questa immensa ricchezza. Prestiti internazionali in cambio dell’ingresso nella propria sfera d’influenza.

Un mondo multipolare non si regge sulle regole studiate per un sistema monopolizzato dall’Occidente. Già il Club di Parigi sembra superato dalla storia e, in effetti, ha di recente dovuto rivedere le proprie condizioni. E’ nato un mercato dei prestiti internazionali dall’offerta variegata. Apparentemente un bene per i paesi debitori, certamente un male per l’ordine mondiale nato nel Secondo Dopoguerra. Banca Mondiale intende potenziare le sue erogazioni di 50 miliardi nei prossimi anni. Bene, ma non troppo. Servono centinaia di miliardi di dollari di investimenti e aiuti per finanziare lo sviluppo ed evitare il crac in diversi paesi del mondo. E la Cina è ben lieta di prestarli. Si è già presa l’America Latina e ormai l’Africa è oggetto di spartizione tra sé e la Russia. Completerà l’opera in Asia, magari avvalendosi del sostegno del nuovo alleato saudita. Il Pakistan è lì a ricordarci quanto l’Occidente stia perdendo influenza ovunque.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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