Petrolio, alluminio, gas e persino le tonnellate di CO2 scambiate alle aste europee sono alle stelle. I prezzi delle materie prime stanno aggiornando i massimi storici, paventando tassi d’inflazione più duraturi ed elevati di quelli finora stimati. In settimana, il prezzo dell’alluminio è salito al nuovo record massimo, superando di gran lunga la soglia dei 3.200 dollari per tonnellata. Su base annua, sfiora una crescita del 60%. Nel frattempo, il Brent resta sopra 90 dollari al barile, mentre il gas oscilla sempre intorno agli 80 euro per megawatt-ora in Europa, a +325% in un anno.
E’ difficile sintetizzare la follia di questa fase. L’economia mondiale non si è ancora ripresa del tutto dalla pandemia, eppure i prezzi delle materie prime corrono come se avessimo superato ogni prospettiva di crescita immaginabile. Invece, l’Eurozona è a rischio stagnazione nel primo trimestre proprio a causa del boom dei prezzi di gas e luce. Il potere d’acquisto delle famiglie si riduce e molte imprese si vedono costrette a fermare gli impianti per gli alti costi di produzione.
Prezzi delle materie prime sostenuti dalle banche centrali
C’entrano i colli di bottiglia provocati dalle restrizioni anti-Covid, specie in Asia. C’entrano anche le tensioni geopolitiche tra Russia e Occidente sull’Ucraina. In un certo senso, c’entra anche la transizione ecologica avventata che sta facendo salire la domanda di determinate materie prime, riducendo la produzione di altre. Ma la responsabilità principale di quel che sta accadendo è in capo alle banche centrali. Dal 2008, tengono azzerati i tassi d’interesse e acquistano obbligazioni per iniettare liquidità sui mercati e sperare così di reflazionare le economie.
Con la pandemia, sono riuscite a centrare l’obiettivo, coadiuvate dai governi con stimoli fiscali ingenti.
Adesso che l’inflazione è tornata in pompa magna, le banche centrali stanno esitando ad alzare i tassi e a ritirare gli stimoli monetari. Fingendo di credere che si tratti di un fenomeno temporaneo, nei fatti lo accentuano e lo rendono strutturale. Esse sono consapevoli che passare da oltre un decennio di “easy money” a una condizione più restrittiva provocherà l’insostenibilità dei debiti accumulati da imprese e governi poco efficienti. E ciò genererà instabilità finanziaria e malcontento sociale. Tanto per essere chiari, tassi più alti faranno costare di più l’indebitamento di stati come l’Italia e spingeranno i governi ad attuare politiche di austerità fiscale, cioè tagli alla spesa e aumento delle tasse. Lo scontro tra rigoristi e cicale in Europa tornerà in auge e così anche i dubbi sulla tenuta dell’euro.