Con tassi d’inflazione che si avvicinano progressivamente alla doppia cifra presso le principali economie avanzate, tutto ci aspetteremmo, tranne che il prezzo dell’oro torni a scendere. Ieri, stava a 1.855 dollari l’oncia, ai minimi da metà febbraio. In pratica, il metallo costa sui mercati internazionali quanto prima che iniziasse la guerra tra Russia e Ucraina. E sappiamo che anche le tensioni geopolitiche sono solite tenere alte le quotazioni. Infatti, a inizio marzo il prezzo dell’oro toccò il suo massimo storico, superando i 2.043 dollari.
La stretta sui tassi
Come si spiega, allora, questo ripiegamento? Per prima cosa, i mercati guardano con crescente attenzione alle mosse delle banche centrali. La Federal Reserve stasera alzerà nuovamente i tassi d’interesse e li porterà all’1%. La Banca d’Inghilterra li ha già alzati per tre volte di seguito allo 0,75%. Lo stesso ha fatto la Norges Bank. L’Australia ha appena iniziato la stretta, così come Nuova Zelanda, Canada e Corea del Sud.
Il numero dei rialzi dei tassi nel mondo sale e questo ha iniziato a impattare negativamente sul prezzo dell’oro. Se guardassimo ai tassi reali, tuttavia, scopriremmo che negli ultimi mesi siano diminuiti, malgrado la stretta monetaria in corso. Evidentemente, però, il mercato sta intravedendo in queste mosse una sostanziale capacità degli istituti di deflazionare le economie. Tant’è che il “breakeven” a 5 anni negli USA è sceso ai minimi da due mesi al 3,2%. Esso segnala le aspettative d’inflazione a 5 anni per l’economia americana. E’ dato dalla differenza tra il Treasury con cedola fissa e il Treasury con cedola agganciata all’inflazione, entrambi di durata quinquennale.
Economie avanzate a rischio recessione
Questa convinzione che l’inflazione prima o poi scenderà, la si desume dagli ultimi dati macro. Il PIL USA a sorpresa è sceso dell’1,4% nel primo trimestre. In Cina, a causa delle nuove restrizioni anti-Covid, si registra un rallentamento in atto degli indici manifatturieri e non.
Il super dollaro deprime il prezzo dell’oro
Poiché si dà per molto probabile il successo di tale stretta, i rendimenti nominali dei bond di questa fase stanno offrendo un’alternativa valida all’oro. Il Treasury decennale al 3% ingolosisce. I rendimenti negativi sono quasi del tutto scomparsi, relegati tutt’al più alle brevi e brevissime scadenze. Se poi stasera il governatore Jerome Powell dovesse usare toni più da “falco” delle attese, una ulteriore discesa per il prezzo dell’oro non potremmo escluderla. Peraltro, il rialzo dei tassi FED ha rafforzato il dollaro ai massimi da 20 anni contro la media delle valute mondiali. E questo deprime la domanda del metallo, che è denominato nella divisa americana.