Mentre mancano pochi giorni all’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, il prezzo del petrolio sui mercati internazionali continua a salire e oggi si attesta sopra i 77 dollari al barile (Brent). Si è così riportato ai massimi da 3 mesi a questa parte. Dai minimi recenti, toccati un mese fa, il rialzo sfiora l’8,5%. Stesso trend per il WTI, che è il greggio estratto negli Stati Uniti e che funge da riferimento per il mercato americano. In questo caso, la quotazione è salita in area 74,45 dollari.
Prezzo del petrolio in attesa dell’agenda Trump
L’OPEC+, organizzazione degli stati esportatori e che include alleati esterni come Russia e Kazakistan, ha deciso di prorogare il taglio dell’offerta per tenere il prezzo del petrolio. Una decisione, presa alla fine dello scorso anno, che contribuisce a tenere basse le estrazioni. Ed è probabile che stia incidendo anche la decisione del presidente uscente Joe Biden di firmare un ordine esecutivo per mettere al bando in maniera permanente le trivellazioni off-shore negli Stati Uniti su un’area di 2,5 milioni di km quadrati.
Le estrazioni presso la prima economia mondiale sono salite ai massimi storici di 13,5 milioni di barili al giorno, ma dispongono ancora di un certo potenziale di crescita. E Trump intende favorire il loro potenziamento con l’obiettivo di giungere all’indipendenza energetica, cioè di non avere bisogno di importare energia dall’estero per soddisfare la domanda nazionale. Questa sfiora i 20 milioni di barili al giorno, oltre 6 in più dell’offerta domestica.
Ma ci sono buone ragioni per credere che il prezzo del petrolio nei prossimi mesi faccia dietrofront. La prima è da individuare proprio nell’agenda energetica di Trump sul motto “drill, baby, drill”. Non basteranno le intenzioni. Sul piano formale la nuova amministrazione dovrà ottenere il via libera del Congresso, in quanto la giustizia americana sentenziò nel 2019 che solo così il governo può rimuovere un divieto esecutivo permanente.
Yuan debole
In effetti, ci sono altre due ragioni che lasciano supporre che il trend ribassista potrà innescarsi a breve. Una riguarda lo yuan. La valuta cinese è scesa ai minimi contro il dollaro dal settembre del 2023. Perde circa il 4,5% negli ultimi tre mesi e mezzo. Alla base di tanta debolezza c’è la scommessa del mercato forex per l’impatto negativo sull’economia cinese dei dazi di Trump. Ed è altresì probabile che la Banca Popolare Cinese stia agevolando l’indebolimento, pur limitato, del cambio per neutralizzare almeno in parte gli effetti negativi dell’aumento atteso dei dazi.
Uno yuan debole impatta negativamente sul prezzo del petrolio. La Cina è la prima economia importatrice della materia prima nel mondo con circa 11 milioni di barili al giorno. Incide per quasi l’11% della domanda globale. Se la sua valuta perde valore contro il dollaro, il greggio automaticamente costa di più per l’economia asiatica e ciò ne colpisce i consumi energetici.
Fattore Medio Oriente
Infine, sempre Trump. La sua politica estera sarà verosimilmente più vicina all’Arabia Saudita e più ostile all’Iran. E questo dovrebbe indurre il regno ad allentare le restrizioni all’offerta dell’OPEC, che nei fatti guida. Non è un mistero che il principe Mohammed bin Salman detesti Biden al punto da avere tenuto alto il prezzo del petrolio anche per colpirlo elettoralmente. C’è da dire che la politica anti-iraniana di Trump colpirebbe le esportazioni di greggio di Teheran, anche se formalmente già dal 2018 sono tornate sotto embargo. Solo se Washington si mostrasse realmente intenta ad impedire che terze parti come la Cina commercino con l’Iran, l’impatto sul mercato petrolifero ci sarebbe e nel senso di una riduzione tendenziale dell’offerta.
Un prezzo del petrolio più basso sarebbe la vera punizione nei confronti del regime iraniano. Tuttavia, agli stessi sauditi non piacerebbe che scendesse di tanto, restando molto dipendenti dalle sue entrate. E a Trump interesserebbe che si abbassasse al punto da ridurre il costo della vita in modo visibile tra i consumatori americani, ma evitando che l’industria petrolifera domestica perdesse incentivi nell’estrarre la materia prima. Calcoli recenti stimano fino 45 dollari la quotazione necessaria per almeno coprire i costi negli Stati Uniti, ma fino a 70 dollari per i nuovi pozzi. Insomma, ci sarebbero margini di discesa, ma agli americani conviene che non questa non fosse troppo violenta.
Prezzo petrolio verso probabile ripiegamento
Cosa accadrebbe se il prezzo del petrolio precipitasse bruscamente? I sauditi accuserebbero buchi di bilancio elevati, pur riuscendo ad estrarre a pochi dollari al barile. Disporrebbero di centinaia di miliardi di dollari accantonati per reagire alla crisi fiscale, ma in un solo colpo si toglierebbero di mezzo iraniani e americani, impedendo a questi ultimi di acquisire nuove quote di mercato. In tutto questo discorso non abbiamo accennato alla crescita dell’economia globale, che potrebbe risentire negativamente di un’eventuale “guerra dei dazi” tra grandi aree. Le variabili in gioco sono tante, ma ci sentiamo di dire che la risalita delle quotazioni non appare destinata a durare ancora a lungo. Un ripiegamento è probabile. Tensioni geopolitiche permettendo.