Ci sono prestazioni e pensioni che l’INPS eroga a seguito di domanda da parte degli interessati. Tali prestazioni continuano poi a essere corrisposte mese dopo mese o addirittura anno dopo anno, fino a quando l’Istituto non si rende conto che c’è qualche anomalia. A quel punto, può chiedere la restituzione delle somme ai pensionati, spesso ignari di dover conservare il denaro percepito, poiché in molti casi le cifre da rimborsare possono diventare esorbitanti.
Prima l’INPS ti paga la pensione, poi la vuole indietro tutta, ecco i casi strani italiani
Ben 55.000 euro da restituire all’INPS. È quanto l’Istituto ha richiesto a un pensionato di 66 anni di Ravenna.
Il malcapitato deve aver avuto un vero e proprio colpo nel vedersi recapitare la comunicazione dell’INPS, che pretende questa ingente somma dopo che l’uomo era uscito dal lavoro con la quota 100.
Ma si tratta solo dell’ultimo caso di cronaca che mette in luce richieste spesso assurde da parte dell’Istituto. I motivi per cui l’INPS può esigere la restituzione di somme indebitamente percepite sono molteplici.
Si va dalle mancate comunicazioni obbligatorie annuali (ad esempio modelli RED e modelli per invalidi e titolari di Assegno Sociale) alle fruizioni indebite per limiti reddituali.
Per esempio, chi non comunica all’INPS i redditi che influiscono sulle prestazioni o chi non segnala di essersi trasferito per lungo tempo all’estero mentre percepiva prestazioni assistenziali, può trovarsi costretto a restituire quanto indebitamente ricevuto.
Molte prestazioni sono collegate ai redditi o a determinate condizioni che, oltre a dover essere rispettate alla data di presentazione delle domande, vanno rispettate anche durante l’intero periodo di fruizione delle prestazioni.
Ecco quando bisogna restituire pensioni e somme indebitamente percepite all’INPS
Ed è così che, per esempio, chi ha percepito maggiorazioni sociali e integrazioni al trattamento minimo, ma alla luce delle dichiarazioni reddituali (o in assenza di queste) risulta non averne diritto, deve restituirle. Se i redditi superano i limiti previsti per l’Assegno Sociale e qualcuno l’ha percepito per un anno intero, deve restituire all’INPS tutto l’importo di quell’anno, con le modalità di pagamento stabilite dall’Istituto.
Poi ci sono quelle misure che non consentono di cumulare i redditi da pensione con i redditi da lavoro, salvo eccezioni per il lavoro autonomo occasionale. Si tratta, ad esempio, delle pensioni di quota 100, quota 102, quota 103 e anche dell’Ape sociale.
Chi accede a questi trattamenti non può svolgere attività di lavoro dipendente di qualunque tipo, indipendentemente dall’entità del compenso, né attività di lavoro autonomo, fatta eccezione per quella occasionale con un reddito annuo inferiore a 5.000 euro.
Ecco le misure che prevedono il divieto di cumulo dei redditi da lavoro con i redditi da pensione
Proprio il divieto di cumulo tra redditi da lavoro e redditi da pensione è alla base del caso del pensionato di Ravenna menzionato all’inizio. In passato abbiamo già visto pensionati costretti a restituire le somme all’INPS anche per pochi euro, magari percepiti come comparse in un film.
Abbiamo poi letto di pensionati che hanno dovuto rimborsare l’Istituto per lavori part time svolti in aiuto di un familiare in difficoltà.
Oggi persino un hobby che genera redditi può trasformarsi in un problema, se si percepiscono trattamenti come la quota 100 (come nel caso del pensionato di Ravenna), l’Ape sociale, la quota 102 o la quota 103.
Nel caso sopra citato, infatti, il pensionato svolgeva attività di cronometrista per un’associazione sportiva dilettantistica, ricevendo regolari rimborsi spesa. Avendo percepito la pensione nel 2022 e nel 2023 con la quota 103, l’INPS gli ha chiesto la restituzione di 55.000 euro, ritenendo tali somme indebitamente erogate. Di conseguenza, il pensionato è diventato debitore di quella stessa cifra, poiché, alla luce dei rimborsi percepiti, l’assegno non gli spettava.
Ecco perché spesso le pensioni da restituire all’INPS hanno cifre monstre
Ciò che più colpisce è che anche per poche decine di euro di reddito extra, quando vige un divieto di cumulo specifico, non esistono scorciatoie. Anche piccoli rimborsi spesa o attività saltuarie possono far scattare l’obbligo di restituire l’intera pensione per l’anno in cui tali redditi sono stati percepiti.
Ricordiamo che le misure che non ammettono la possibilità di arrotondare la pensione con altri redditi sono tutte quelle rivolte ai quotisti e anche l’Ape sociale, a partire dal 2024. Il rischio per chi ignora queste norme è davvero alto. È anche discutibile il fatto che l’INPS, pur disponendo di ampie banche dati, spesso finisca per erogare pensioni indebite non per uno o due mesi, ma addirittura per anni senza effettuare adeguati controlli.
Questo può determinare debiti molto elevati per il pensionato. Nel caso di Ravenna, pare che, vista l’ingente somma, l’INPS abbia soltanto bloccato le prestazioni per gli anni successivi a quelli incriminati. Tuttavia, è difficile credere che l’Istituto abbia rinunciato a chiedere i 55.000 euro. In genere, infatti, l’INPS pretende il rimborso in unica soluzione, offrendo comunque la possibilità di richiedere una dilazione per cercare di venire incontro al debitore.