Tra Poste e Monte Paschi il Tesoro punta a racimolare altri 3 miliardi di euro entro l’anno

Il capitolo privatizzazioni farebbe incassare allo stato altri 3 miliardi di euro entro la fine dell'anno. Nel mirino Poste e Monte Paschi.
1 mese fa
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Privatizzazioni, altri 3 miliardi attesi entro l'anno
Privatizzazioni, altri 3 miliardi attesi entro l'anno © Licenza Creative Commons

L’Italia lo aveva messo nero su bianco lo scorso anno: dalle privatizzazioni arriveranno 20 miliardi di euro nel triennio 2024-2026. Sinora in cassa sono entrati 3 miliardi, principalmente attraverso la vendita delle azioni del Tesoro in Monte Paschi, così come anche dal 2,8% del capitale di Eni. Entro la fine dell’anno, invece, ci sarà la cessione di un 14% di Poste Italiane e forse anche di una terza quota della banca senese.

Privatizzazioni, vendita di Poste imminente

Dell’operatore postale il Tesoro possiede direttamente il 29,2%, mentre un altro 35% appartiene alla Cassa depositi e prestiti, che altro non è che un ente controllato dal Tesoro stesso per l’82%.

Dunque, in totale la mano dello stato controlla il 64,2% di Poste. Il governo avrebbe voluto cedere per intero la quota detenuta direttamente, anche scendendo sotto la soglia del 50%. Tra le proteste di opposizioni e sindacati e i mugugni nella stessa maggioranza, alla fine ha optato per restare complessivamente sopra il 50% del capitale.

Questo significa che la cessione di Poste – la prima dopo lo sbarco in borsa del 2015, avverrà per una quota del 14%. L’Offerta Pubblica di Vendita dovrebbe essere lanciata a partire da lunedì 21 ottobre. La scorsa settimana il Tesoro ha individuato gli advisor dell’operazione: Intesa Sanpaolo, Unicredit, Mediobanca, Deutsche Bank, Citi e JP Morgan in qualità di Global Coordinators. Bnp Paribas, Barclays, Morgan Stanley, Société Générale e Ubs agiranno come Joint Bookrunner.

Dopo Poste terza quota in Mps

Dato l’attuale valore di borsa di Poste di 16,44 miliardi, dalla cessione del 14% il Tesoro incasserebbe circa 2,30 miliardi. Chiaramente, molto dipenderà dal prezzo esatto a cui avverrà la dismissione. In genere, per attirare il mercato si offre agli acquirente uno sconto sul cosiddetto Terp, il valore del titolo prima dell’annuncio.

Il capitolo privatizzazioni non si chiuderebbe qui per quest’anno. Lo stato è già sceso in appena cinque mesi da oltre il 64% a poco più del 26% di Monte Paschi.

In tutto ha venduto il 37,5% in due operazioni, di cui la prima nel novembre dello scorso anno e la seconda a inizio aprile di quest’anno. Roma ha promesso a Bruxelles che entro il 2024 la banca sarà nuovamente privata. Questo non significa che lo stato dovrà necessariamente azzerare la propria quota. Gli basterebbe scendere sotto il 20% senza occuparsi della governance.

Anche Fs in vendita?

Per questa ragione si specula che il Tesoro potrebbe cedere una terza quota del 10%. Agli attuali prezzi di mercato, varrebbe sui 630 milioni. Aggiunti ai 2,3 miliardi attesi da Poste, le privatizzazioni farebbero incassare fino a quasi 3 miliardi nelle prossime settimane. Il conto totale salirebbe così a quasi 6 miliardi. L’obiettivo dei 20 miliardi in tre anni diverrebbe più credibile. Anche perché ci sono ancora pezzi grossi da vendere sul mercato. Il governo Meloni medita la cessione di una partecipazione robusta (fino al 49%?) di Ferrovie dello stato. In pratica, venderebbe ai privati la quota di minoranza della società che gestisce la rete.

Le privatizzazioni servono a fare cassa? Senza dubbio. Tuttavia, i loro effetti realmente benefici sono altri. Quando un’attività è controllata da soggetti il cui intento è produrre utili, la gestione diventa più efficiente. A patto, però, che essa si muova in un contesto competitivo. I monopoli privati non si sono rivelati storicamente granché più efficienti di quelli pubblici. E dal lato del consumatore rischiano di essere peggiori. Per questo si valuta il da farsi su Ferrovie, che resterebbe in ogni caso un asset dello stato.

Privatizzazioni, dilemma dei minori utili futuri

La critica alle privatizzazioni consiste principalmente nella falsa convinzione che esse migliorino i conti pubblici. Intendiamoci, altri 3 miliardi entro l’anno farebbero comodo al governo. Servirebbe a migliorare dello 0,15% il rapporto tra deficit e Pil.

Sebbene non sia una cifra elevata, sarebbe pur sempre un segnale nella giusta direzione. Il problema è che asset dello stato molto redditizi, come lo è per esempio Eni, generano profitti e generosi dividendi per lo stato. Privarsene significa incassare qualcosa oggi per incassare minori utili anno dopo anno. Resta il fatto che lo stato non dovrebbe occuparsi di tutto ciò per cui la sua presenza non sia valutata come obbligata.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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