Non solo conti deposito e obbligazioni, i clienti della banca possono guadagnare di più con i pronti contro termine

I pronti contro termine sono una modalità d'investimento adatta per i clienti delle banche e più redditizi di conti deposito e correnti.
2 anni fa
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Investire in pronti contro termine

Crescono le pressioni sulle banche, affinché trasferiscano sui clienti almeno parte degli aumenti dei tassi d’interesse di questi mesi. Non è un problema solo italiano. Dal luglio scorso, la Banca Centrale Europea (BCE) è tornata ad alzare i tassi d’interesse dopo ben undici anni. Li ha portati da 0 al 3,75% in appena dieci mesi. Di conseguenza, prestiti e mutui sono rincarati ai massimi danni. I secondi sono passati in dodici mesi dall’1,81% al 4,03%. Invece, i conti correnti offrivano ad aprile ai clienti in media lo 0,29% contro lo 0,02% di un anno prima.

Non è andata meglio ai conti deposito, passati da 0,32% a 0,64%. Con un’inflazione ancora al 7,6% a maggio, significa che i risparmi dei clienti perdono potere d’acquisto a ritmi ancora altissimi. Avete mai sentito parlare di pronti contro termine?

Anch’essi fanno parte della raccolta bancaria, solo che in Italia se ne parla pochissimo. Stando ai dati di Unimpresa, a marzo ammontavano a 110,8 miliardi di euro, +4 miliardi su base annua e pari al 6% dell’intera raccolta. Il dato positivo è che in aprile riconoscevano agli investitori un tasso medio del 2,62%, nettamente in rialzo dall’1,22% di un anno prima. Siamo anche in questo caso su livelli lontanissimi dall’inflazione, ma sei volte i tassi sui conti deposito.

E allora cerchiamo di capire cosa sono e come funzionano i pronti contro termine. Trattasi di strumenti finanziari venduti da un soggetto, che generalmente è una banca o altro intermediario finanziario. Essi hanno asset sottostanti come obbligazioni e titoli di stato. Il venditore s’impegna a riacquistare tali strumenti ad una data e prezzo concordati, non oltre i dodici mesi. Dunque, si tratta di un investimento di breve periodo. L’acquirente/investitore riceve un rendimento per avere fornito al venditore liquidità per un certo periodo. Esso deve risultare almeno pari al rendimento offerto dai titoli sottostanti.

Pronti contro termine, ecco come si determina il rendimento

Facciamo un esempio per capire meglio.

Banca Alfa vende al cliente Tizio pronti contro termine con sottostanti titoli di stato a 5 anni ad un prezzo di 97 centesimi. S’impegna a riacquistare tali strumenti dopo 90 giorni ad un prezzo di 97,50. Tizio otterrà dall’investimento un rendimento dato, anzitutto, dalla differenza tra prezzo di acquisto e di rivendita. Nel nostro caso, esso sarà pari a più del 2% su base annua. Inoltre, percepirà il rateo attivo delle cedole per il periodo di detenzione del portafoglio titoli. Supponiamo che la cedola semestrale staccata dai BTp a 5 anni sia dell’1%. Si conseguenza, otterrà lo 0,50% per i tre mesi dell’investimento.

In totale, quindi, i pronti contro termine gli renderanno circa l’1% in tre mesi, qualcosa come oltre il 4% su base annua. Alla data prefissata, Banca Alfa effettuerà il riacquisto. Se per ipotesi all’atto di vendita i rendimenti annuali del BTp a 5 anni fossero del 5%, a Tizio converrebbe acquistare questi ultimi direttamente. Ecco perché i rendimenti dei pronti contro termine risultano tendenzialmente allineati con quelli degli asset sottostanti. Le banche dal canto loro hanno convenienza a puntare su questi strumenti per regolare la liquidità. Se ne hanno bisogno e posseggono all’attivo titoli, questo è un modo semplice per monetizzarli nel breve.

Perché pochi risparmiatori italiani vi investono? In buona parte, perché nemmeno ne conoscono l’esistenza. Dopodiché, c’è da dire che, essendo un investimento vero e proprio, i pronti contro termine richiedono l’apertura di un conto titoli con annesso pagamento dell’imposta di bollo dello 0,20% all’anno. Inoltre, non rientrano tra gli asset garantiti dal Fondo interbancario di tutela dei depositi fino a 100.000 euro. E se tra i titoli sottostanti vi sono obbligazioni emesse dalla stessa banca, in caso di bail-in questa può anche non effettuare il riacquisto.

L’investitore perderebbe il capitale. Se, invece, i titoli fossero emessi da altri soggetti (stato, banche, imprese), l’investitore perderebbe al limite solo il rendimento legato al prezzo. Rimarrebbe, invece, in possesso dei titoli, che potrebbe monetizzare anche subito sui mercati (ma esponendosi al rischio di prezzo) o alle scadenze.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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