Il governatore della banca centrale, Fatih Karahan, ha incontrato ieri i rappresentanti degli istituti di credito per discutere sulla reazione alla volatilità del mercato a seguito dell’arresto del sindaco della Città Metropolitana di Istanbul, Ekrem Imamoglu. La scorsa settimana è stata dura. Nella sola giornata di mercoledì, il Burumcekci Consultancy Research ha stimato vendite di riserve valutarie per 11,5 miliardi di dollari per sostenere la lira turca. Si tratta di un dato 4 volte superiore ai massimi registrati finora. Le proteste in Turchia hanno scosso il mercato, catapultato ancora una volta e all’improvviso nel pieno di una ennesima crisi politica.
Imamoglu incoronato alle primarie
Imamoglu è stato arrestato con accuse di corruzione, ma le opposizioni credono che si tratti di un atto motivato politicamente, essendo l’uomo il principale rivale del presidente Recep Tayyip Erdogan. Tant’è che ieri si sono svolte regolarmente le elezioni primarie per la sua nomina a candidato del CHP per il 2028.
Oltre 13 milioni di persone hanno partecipato all’evento, sfidando nei fatti le autorità.
Banca centrale in allarme
Prima ancora delle proteste in Turchia, la banca centrale ha dovuto fronteggiare una situazione da allarme rosso. Mercoledì 19, alla notizia dell’arresto, la lira turca era precipitata fino al 12% in mattinata e ad un cambio di 42 contro il dollaro. Successivamente, l’istituto ha ripreso il controllo della situazione e ad oggi sta contenendo il cambio a un tasso di 1:38. Ma ad un costo elevatissimo: deve vendere le riserve per offrire dollari sul mercato e abbassarne così il valore. Ha altresì alzato il tasso overnight di 200 punti base al 46%.
Inoltre, ha sospeso i prestiti alle banche commerciali al tasso minimo del 42,5% e ha annunciato che terrà un’asta a 91 giorni per assorbire gli eccessi di liquidità in lire, la prima da quasi 20 anni.
Le riserve valutarie erano salite ad un massimo record di 101 miliardi di dollari lordi al 14 febbraio scorso, in forte ripresa dai 56,5 miliardi da fine maggio 2023, quando si tennero le ultime elezioni presidenziali. Al 14 marzo scorso era scese a 97,1 miliardi, ma in base a quanto sopra accennato, probabile che risulteranno già precipitate ben sotto i 90 miliardi. Andare avanti solamente sulla strada della vendita delle riserve non è possibile. Se le proteste in Turchia non si arresteranno e gli investitori stranieri (ma anche domestici) temeranno ulteriori disordini, prima o poi si giungerà a una qualche forma di restrizione ai movimenti dei capitali.
Da proteste in Turchia rischi finanziari
Gli hedge fund hanno scommesso in questi anni circa 35 miliardi sul “carry trade“ per approfittare degli alti tassi turchi. Ma questo business ha funzionato fino a quando il cambio si deprezzava in maniera controllata nel tempo. Il tracollo di questi giorni pone fine a una finestra di opportunità apertasi quasi due anni fa con la svolta post-elettorale di politica economica. La banca centrale dovrà sperare non solo che le proteste in Turchia si plachino, ma anche che la sfiducia sui mercati non si ampli.
Un crollo del cambio farebbe risalire l’inflazione e richiederebbe una nuova stretta monetaria, quando i tassi erano iniziati a scendere. Erdogan difficilmente accetterebbe il contrordine. Si andrebbe dritti verso una nuova crisi finanziaria.
giuseppe.timpone@investireoggi.it