Pubblicità TV, il tetto in Rai divide Berlusconi da Renzi

La Rai fa litigare Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. I limiti alla pubblicità per la TV pubblica rappresentano un motivo di scontro tra i due leaders. Ecco cosa cambierebbe con il ritorno del centro-destra al governo.
7 anni fa
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Ultimo giorno per evitare di pagare il canone Rai in bolletta, quello introdotto due anni fa dal governo Renzi e che lo stesso segretario del PD ha proposto di recente di abolire, sostenendo che consentirebbe alla TV pubblica di incassare di più dalla raccolta pubblicitaria, innalzando i limiti del cosiddetto “affollamento”. Grazie al balzello imposto a tutte le famiglie italiane, Viale Mazzini ha raccolto dalle tasche degli utenti qualcosa come 2 miliardi di euro nel 2016, ovvero il 75% del proprio fatturato totale.

Dalla pubblicità, invece, ha incassato “solo” 700 milioni, poco più di un terzo dei 2,058 miliardi di Mediaset, pari al 77% del fatturato di quest’ultima. Il resto per il Biscione arriva dagli abbonamenti Premium. E alla pay tv Sky, che vanta 4,8 milioni di abbonati, sono andati altri 226 milioni tramite la raccolta pubblicitaria, l’8% dei ricavi totali. In pratica, le reti della famiglia Berlusconi riescono a incassare il 60% del fatturato pubblicitario televisivo in Italia, una posizione dominante, che non sembra poter essere insidiata al momento da alcun gruppo concorrente, nemmeno in tempi di digitale terrestre. Vediamo perché. (Leggi anche: Abolizione canone Rai: quella di Renzi solo fuffa per spaventare Berlusconi)

La legge del 2005 sul riassetto radio-televisivo, nota anche come Legge Gasparri dal nome dell’allora ministro delle Comunicazioni del governo Berlusconi, fissa limiti per l’affollamento pubblicitario, distinguendo tra TV pubblica, TV privata nazionale e locale e pay tv. La Rai può trasmettere spot per il 4% dell’orario settimanale e fino a un massimo del 12% per ora di programmazione, ovvero per un massimo di 58 minuti di pubblicità al giorno. Le TV private nazionali (Mediaset e altri) possono mandare in onda pubblicità per il 15% giornaliero e fino al 18% per ora di programmazione. Il limite giornaliero è innalzato al 20% massimo, se comprende anche pubblicità diversa dagli spot (telepromozioni), la quale non può superare, tuttavia, i 72 minuti al giorno.

Infine, le pay tv sono soggette a un affollamento pubblicitario del 12% all’ora (circa 7 minuti). Nessun’altra legislazione europea distingue tra reti in chiaro e reti a pagamento, va sottolineato. In ogni caso, viene consentito uno sforamento massimo del 2% in un’ora, purché recuperato nell’ora precedente o quella successiva.

Ora, la proposta di Renzi di innalzare il tetto dell’affollamento pubblicitario della Rai per abrogare il canone lo pone in netto conflitto con gli interessi del leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, che vedrebbe le sue reti commerciali esposte a una più virulenta concorrenza dell’attuale TV di stato. Va detto che non avrebbe alcun senso che la Rai rimanesse pubblica, nel caso in cui le fosse consentito di operare esattamente come un operatore televisivo privato. Già oggi, poi, Viale Mazzini indispettisce il Biscione, non osservando alla lettera il contenuto della Legge Gasparri, applicando il tetto alla pubblicità non per ciascuna rete, bensì facendo una media delle tre principali. L’Agcom ha dato ragione alla Rai, sostenendo che non violerebbe le limitazioni così facendo.

Il trucco Rai per incassare di più dalla pubblicità

Di fatto, l’affollamento pubblicitario supera il 5% su Rai Uno, si tiene al 4% su Rai Due e scende al 3% su Rai Tre. Il perché è evidente. Il terzo canale rende meno, facendo uno share più basso, mentre il primo si mostra più proficuo. E allora, meglio mandare uno spot in più sulla prima rete e uno in meno sulla terza, anziché attenersi alla lettera ai limiti legali rete per rete. Cosa cambierebbe con il possibile ritorno del centro-destra al governo? Consentirebbe ancora alla TV pubblica di osservare in maniera così flessibile il tetto all’affollamento pubblicitario o cercherebbe per caso di fare applicare la legge alla lettera? Vi chiederete cosa cambi. Tanto. Se Rai Uno dovesse essere costretta a mandare in onda meno spot, è probabile che a giovarsene sarebbe una rete simile per pubblico, ovvero Canale 5, l’ammiraglia di Mediaset.

In sostanza, l’osservanza puntuale dei limiti per ciascuna rete sposterebbe pubblicitari verso Cologno Monzese, cosa che farebbe certamente piacere al suo proprietario.

E c’è un’altra possibile fonte di frizione tra quest’ultimo e Renzi. Nel maggio del 2016, la Commissione europea ha presentato una proposta di modifica di una sua precedente direttiva del 2010, con l’obiettivo di liberare risorse in favore del sistema radio-televisivo europeo, prendendo atto della crisi che attanaglia il settore, a causa dell’esplosione degli investimenti pubblicitari su internet. Bruxelles mirava ad innalzare il tetto pubblicitario per le reti private dal 12% per qualsiasi ora della giornata al 20%, ma la nuova e più alta percentuale non si riferirebbe a ciascuna ora, bensì all’orario che va complessivamente dalle ore 7.00 di mattina alle 23.00 di sera. In questo modo, le TV potrebbero concentrare gli spot nelle fasce più redditizie, ovvero orientativamente tra le 18.00 e le 23.00, riducendoli negli altri orari. Si arriverebbe, si stima, a un affollamento pubblicitario del 25% la sera e del 15% di mattina e pomeriggio. A parità di spot trasmessi, gli incassi salirebbero per gli operatori privati.

Tuttavia, a pochi giorni dal referendum costituzionale, che ne ha segnato la fine, il governo Renzi (per ripicca verso Berlusconi, nel frattempo sceso in campo a fare campagna contro i quesiti referendari?) scriveva a Bruxelles, lamentando che la nuova direttiva, ove fosse approvata, avrebbe concentrato eccessive risorse sulle reti TV private, sottraendole all’editoria. Molto probabile che questo atteggiamento del governo italiano muterebbe con l’arrivo del centro-destra a Palazzo Chigi e che, al contrario, si avallerebbe ogni riforma che vada nel senso di rendere più flessibili i limiti pubblicitari. E alla Rai cambierebbe qualcosa? Di abolizione del canone il centro-destra non ne parla, ma allo stesso tempo nemmeno di innalzare il tetto all’affollamento pubblicitario.

Più probabile, invece, che tramite la Commissione di Vigilanza faccia pressione perché il limite del 4% venga fatto osservare per ciascuna rete. Sarebbero decine di milioni di incassi in meno per la Rai, ma forse qualcuno in più per Mediaset. (Leggi anche: Il nuovo patto tra Renzi e Berlusconi sull’affare Mediaset-Telecom)

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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