Dopo che in via ufficiosa nei giorni scorsi il presidente Paschal Donohoe aveva invitato l’Italia ad approvare in tempi brevi la ratifica del Mes (Meccanismo europeo di risoluzione), l’altro ieri è stata la volta del Single resolution board. Ha inviato una nota all’Eurogruppo, il consesso dei ministri delle Finanze dell’Eurozona, per affermare l’esistenza del rischio che non vi sia sufficiente liquidità per mettere in sicurezza le banche minori, ovviamente sempre nel caso in cui il nuovo Mes non possa debuttare.
Ratifica del Mes in cambio di Patto più flessibile
Finalmente i protagonisti di questa annosa vicenda stanno uscendo pian piano allo scoperto con frasi veritiere e non solo di circostanza. La riforma del Mes risale a tre anni fa e prevede l’istituzione di un backstop per il caso di necessità a favore delle banche. In pratica, nascerebbe un fondo più ampio di quello già previsto con il Mes nella forma attuale e alimentato dai contributi delle stesse banche. Ci sono novità anche sulla gestione delle crisi scaturite dal debito pubblico, ma non in senso favorevole a paesi come l’Italia.
Il nostro Paese non ha firmato sinora per la semplice ragione che non ne intravede alcun beneficio concreto. I sostenitori del Mes ribadiscono che anche il solo fatto di avallare il nuovo meccanismo significa segnalare ai mercati di essersi riparati sotto un ombrello comune contro i rischi sovrani e bancari. La premier Giorgia Meloni eccepisce che la ratifica del Mes debba essere contestuale alla riscrittura delle regole fiscali. Dunque, firmerebbe solo se in cambio ottenesse il nuovo Patto di stabilità entro l’anno e con un’impostazione più flessibile sui conti pubblici.
Terrore per bilanci bancari
L’Unione Europea non accetta la logica “del pacchetto”, ribadendo che i due temi sono trattati separatamente. La sostanza è prettamente politica.
Stando alla Vigilanza della BCE, le banche europee avrebbero reagito molto bene all’aumento dei tassi di interesse e prima ancora alla pandemia. Tutto bene, insomma. Peccato che negli Stati Uniti siano saltate tre banche in poche settimane tra marzo e aprile e la svizzera Credit Suisse sia stata ceduta nello stesso periodo a Ubs per evitare il crac. All’origine dei timori c’è il fenomeno delle “perdite non realizzate“. Le banche hanno all’attivo migliaia di miliardi di asset, il cui valore di mercato è crollato a seguito della stretta monetaria. Finché non saranno rivenduti, tali perdite resteranno solamente virtuali. Il problema arriverebbe nel caso in cui avessero bisogno di liquidità, perché a quel punto dovrebbero riportare le perdite nero su bianco. E parliamo di diverse centinaia di miliardi di euro.
Nuovo Mes servirebbe ad aiutare banche in crisi
A cosa servirebbe il nuovo Mes? Proprio a fornire liquidità alle banche ed evitare che da “non realizzate” le perdite divengano effettive. Il tema riguarda tutti, ma non vi sfuggirà che negli anni dei tassi a zero e dei rendimenti negativi per i bond siano state particolarmente attive le banche nordeuropee sui mercati per fare speculazione finanziaria. Le banche italiane si sono concentrate negli acquisti dei BTp, sentendosi tirare le orecchie tutti i giorni da paesi come la Germania per via del temuto “doom loop”.
Chissà che adesso proprio Berlino non tema problemi reputazionali per il proprio sistema bancario e cerchi una via di fuga nel Mes per creare un meccanismo di sostegno sovranazionale. Prenderebbe due piccioni con una fava: eviterebbe di accollare le perdite delle banche allo stato e farebbe passare il messaggio che siano tutte sulla stessa barca in ogni angolo d’Europa. Il Mes non serve a garantire stabilità a tutti, bensì a salvare la faccia a qualche stato del Nord Europa sinora molto puntiglioso con il Sud e in cui il senso di autocritica praticamente non esiste in natura. Per il momento, il “do ut des” non fa breccia a Berlino, che resiste ad ogni proposito di riforma del Patto nella direzione auspicata dalla Commissione e dal Sud Europa. Senza nulla in cambio, perché dovremmo fare un favore “gratis” agli amici frugali?