Le manovre di equilibrismo della Meloni devono essere davvero terribili, ma vogliamo capire quale sia finalmente la posizione dell’Italia in merito alla guerra in Ucraina? L’UE vuole il riarmo rimanendo con Zelensky, Trump invece ferma tutto e chiede la pace a Putin (che però telefonicamente lo raffredda).
A tre anni dall’invasione russa dell’Ucraina, gli equilibri internazionali stanno cambiando. Gli Stati Uniti, complice l’ostilità del Congresso a nuovi pacchetti di aiuti, hanno ridimensionato il proprio impegno diretto a sostegno di Kyiv. Questo ha accelerato un processo già in corso: l’Europa è ora chiamata a farsi carico della propria sicurezza, rilanciando il tema del riarmo comune e dell’autonomia strategica.
In questo nuovo scenario, l’Italia guidata da Giorgia Meloni ha mantenuto la sua linea di continuità con il fronte occidentale, ma la sua posizione, oggi, è soprattutto una questione di equilibrio politico e convenienza economica.
Meloni tra Europa e USA: fedeltà atlantica e realismo europeo
La premier italiana ha firmato all’inizio del 2024 un accordo bilaterale di sicurezza con il presidente Zelensky, rafforzando l’impegno italiano in ambito difensivo, umanitario ed economico. Tuttavia, l’uscita progressiva degli USA dalla leadership operativa del conflitto ha cambiato le carte in tavola. L’Europa si trova ora nella necessità di aumentare la produzione militare, coordinare i rifornimenti a Kyiv e strutturare una vera politica di difesa comune, anche con investimenti pubblici significativi.
L’Italia si è detta pronta a fare la sua parte, ma con moderazione. Meloni, pur sostenendo l’Ucraina, ha più volte sottolineato che il riarmo non può avvenire a scapito delle priorità economiche interne.
Nel Consiglio Europeo ha dato il via libera a una maggiore integrazione nel comparto difesa, ma ha anche chiesto flessibilità sui vincoli di bilancio e attenzione all’impatto industriale. In pratica, ha fatto sì che la partecipazione italiana non sia solo un onere, ma anche una leva per l’industria nazionale. Il governo si muove quindi con un doppio obiettivo: consolidare la fedeltà al blocco euroatlantico (soprattutto in vista delle elezioni americane), ma al tempo stesso difendere gli interessi strategici nazionali, puntando a un ritorno economico concreto.
I benefici industriali e strategici: conviene davvero sostenere Kyiv?
La posizione dell’Italia, economicamente parlando, ha una logica precisa: esserci oggi per contare domani. Le aziende italiane della difesa – Leonardo in testa – stanno partecipando al rafforzamento militare europeo e ambiscono a contratti importanti nell’ambito del riarmo ucraino e della difesa continentale. Anche l’indotto civile non è da sottovalutare: infrastrutture, ricostruzione energetica, edilizia e trasporti sono settori in cui le imprese italiane possono giocare un ruolo chiave, a patto che l’Italia mantenga una posizione di rilievo nel consesso europeo.
L’adesione al supporto dell’Ucraina consente inoltre all’Italia di contare nei negoziati futuri sulle regole di bilancio, sui fondi UE e sulla politica industriale. Meloni sta sfruttando il nuovo contesto per rilanciare una strategia economica incentrata sulla “sovranità produttiva europea”, che includa anche le aziende italiane.
È evidente che il governo non sostiene Kyiv solo per motivi etici o geopolitici: lo fa anche perché crede che questo investimento politico possa produrre ritorni economici nel medio termine. Se l’UE deciderà davvero di lanciare un piano massiccio di produzione di armamenti, l’Italia vorrà parteciparvi in prima linea.
Le ombre della strategia italiana: rischi, costi e incertezze
Tuttavia, non mancano i rischi. La crisi in Ucraina non ha ancora una prospettiva di risoluzione, e il rischio di escalation resta alto. L’Italia, pur non essendo tra i maggiori fornitori di armi, è coinvolta politicamente e diplomaticamente: se il conflitto dovesse allargarsi, anche Roma potrebbe essere trascinata in scenari più complessi, con costi aggiuntivi non solo economici.
Sul fronte interno, cresce la pressione sociale per concentrarsi sulle urgenze del Paese: sanità, salari, inflazione e tasse. Una parte dell’opinione pubblica inizia a chiedersi se valga davvero la pena investire in una guerra lontana quando ci sono emergenze più vicine. Il governo ha finora bilanciato questi umori con una comunicazione prudente, evitando toni bellicisti e puntando su termini come “difesa della pace”, “stabilità europea” e “ricostruzione”. Infine, la grande incognita resta il futuro degli aiuti europei: se l’Unione dovesse rallentare sul piano industriale o se emergessero nuove divisioni tra gli Stati membri, l’Italia rischierebbe di ritrovarsi con un impegno assunto ma senza ritorni concreti.
Riassumendo.
- Con lo stop degli USA, l’Italia rafforza il sostegno all’Ucraina nel quadro europeo, ma con attenzione ai costi.
- Meloni cerca di trasformare l’impegno in opportunità per l’industria e la politica economica italiana.
- I vantaggi economici sono possibili, ma legati alla riuscita della strategia UE e alla stabilità del conflitto.