Per la generalità dei lavoratori la pensione sta diventando un miraggio. Per i parlamentari italiani, invece, arriva a 60 anni dopo due mandati. Se va male (un solo mandato) ci vanno a 65 anni.
Alla faccia dell’eguaglianza dei diritti verrebbe da pensare. Nonostante l’abolizione dei vitalizi nel 2012, i privilegi della pensione per la casta politica non sono cambiati di molto. Eppure il trattamento, in base alla Costituzione, dovrebbe essere uguale per tutti.
Pensione a 60 anni per pochi eletti
Così l’acceso dibattito sulla riforma pensioni che riguarda milioni di italiani non preoccupa deputati e senatori.
Non solo, il requisito anagrafico per far scattare il diritto alla pensione arriva al compimento di 65 anni di età. Limite che si abbassa gradualmente fino a 60 anni se la funzione di onorevole è ricoperta per un periodo più lungo.
Più precisamente, per ogni anno di mandato oltre il quinto, il requisito anagrafico è diminuito di un anno sino al minimo inderogabile di 60 anni. Il che pone i parlamentari in una situazione decisamente privilegiata rispetto a tutti gli altri lavoratori.
Ma chi paga? Lo Stato è preoccupato di far quadrare i conti della spesa pensionistica, ormai non più sostenibile, ma la casta balla su Titanic mentre affonda.
1.500 euro al mese dopo soli 5 anni
Altra particolarità da considerare è l’importo della pensione dei parlamentari. Ben 1.500 euro al mese dopo soli 5 anni di mandato. Tutto regolare, ben inteso, si tratta di rendite da contribuzione realmente accumulata in base allo “stipendio”.
Si tratta però di somme elevate per soli 5 anni di “lavoro” e che lo Stato deve riconoscere nel tempo a caro prezzo. E’ noto, del resto, che le pensioni dei parlamentari italiani sono le più alte d’Europa.